Un uomo silenzioso

Era un uomo silenzioso, tanto che alcuni credevano addirittura fosse muto. Comparve una mattina con l’onda lunga di un autunno tristemente dolce. Un bell’uomo, alto, bruno come il profilo dei suoi monti. Si esprimeva con l’espressione penetrante del viso e con qualche rapido gesto delle mani asciutte. Così annuì il giorno in cui accettò quel lavoro che lo portò a conoscere il linguaggio colorato delle foglie e gli arabeschi effimeri dei voli tesi dei rapaci. Annuì quando si sposò e ogni qualvolta dovette chinare la testa sotto la furia delle urgenze della vita. Chissà, forse rifletteva quando, la larga scure lungo i fianchi, si fermava a contemplare le sequoie arrendersi gemendo per la larga ferita loro aperta sul fianco. Chissà, forse pensava quando rimaneva a spiare il sole mentre affogava nelle mille pagliuzze d’oro del lago Ontario. Sembrava leggerti l’anima, lui, indovinando quale sentiero avresti intrapreso e quale cruccio avevi nascosto con cura in fondo al tuo cuore. Era la pioggia che risaliva scura la valle, una presenza di inquiete ombre, di falsi sogni o di oscuri presagi. Ma lavorava come cento di noi, senza sentir mai freddo o paura per quel che eravamo e non saremmo mai diventati.
Poi un giorno, quando la vecchiaia già sembrava aver piegato i suoi sogni, si mise il vestito più bello, si ripulì gli stivali e la fibbia della sua unica cintura di cuoio. Andò al cospetto della moglie e la guardò intensamente come solo lui sapeva fare. Si schiarì la voce e disse con una voce inaspettatamente profonda: «Io vado». E non tornò mai più.

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