Il ragazzo del Pony Express

Il ragazzo del Pony Express entrò nell’androne come una furia. Se avesse fatto quella decina di consegne in programma avrebbe meritato l’extra mensile e avrebbe potuto pagare la rata della moto. Davanti a sé, appena sotto l’arco, un grosso cartello avvertiva che per scendere si doveva usare l’ascensore. Lui si strinse nelle spalle e salì gli scalini a due a due fino al terzo piano. Il pianerottolo era sbarrato da una grata di spesso ferro intrecciato: in mezzo, una porticina. Il ragazzo spinse la porta ed entrò con irruenza. Nel preciso istante che gli si chiudeva, pesante, alle spalle sentì un grido. Nella semi oscurità emerse un signore in camicia a maniche corte e cravatta nera, che lo prese severo per un braccio come se avesse voluto picchiarlo:
«La porta! Non ha sentito che le ho detto di trattenere la porta?» Il ragazzo del Pony Express non seppe cosa rispondere. «Ora siamo imprigionati tutti e due» concluse l’uomo seccato con un marcato accento americano. I cappelli tagliati corti e a spazzola mettevano in risalto la mascella quadrata. Il Pony, senza dire nulla, si girò verso l’unica porta di ingresso di quel pianerottolo e suonò il campanello.
«Chi è?» si sentì dire dall’altra parte in modo sgarbato.
«Sono il Pony e ho un plico per il sig. Braschi.»
«Ha sbagliato porta, mi chiamo Fraschi.»
«Non è Braschi di via Tavolini?»
«No, Fraschi, Fraschi… come glielo devo dire? E poi questa è via delle Seggiole. Se ne vada.»
«Via delle Seggiole è la parallela a questa» fece l’uomo sul pianerottolo come per scusarsi. Il ragazzo controllò la dicitura sul plico: non corrispondeva al nome sopra alla porta. Imprecò. Poi, senza neppure guardare l’uomo del pianerottolo, cercò di aprire la porta di ferro per scendere, ma si accorse che non c’era la maniglia.
«Siamo chiusi qui dentro» sentenziò senza appello l’uomo. «Mi chiamo Phil Adams e sono un missionario della Chiesa mormone delle Sette Croci» disse allungando una mano pallida verso il ragazzo che in quel momento si ricordò del cartello nell’androne.
«Ma allora dov’è l’ascensore?» chiese preoccupato.
«Ce l’hanno in casa. Lo usano solo per scendere» rispose Adams gesticolando come se ciò lo aiutasse a ricordare le parole corrette. «Le scale le fanno invece solo per salire. Sono molto ripide, come avrà visto, e non si fidano di farle in discesa. Così come l’ascensore… è poco potente e va bene solo per portar giù le persone.»
Il ragazzo sembrava non capire.
«Me lo ha detto il sig. Fraschi appena ha finito di insultarmi perché non voleva essere raggiunto dalla parola di Dio. Non mi ha voluto far entrare per prendere l’ascensore; né è possibile uscire di qui perché la porta del pianerottolo si apre solo dall’esterno.»
Il Pony, per tutta risposta, si attaccò al campanello sbraitando e dando pugni e calci alla porta.
«È inutile» gli suggerì paziente il mormone. «Dopo un po’ stacca il campanello. Ci ho già provato mezz’ora fa. Sono tutti diventati diffidenti, questa è la verità» poi, vedendo che il ragazzo stava armeggiando con la trasmittente della ditta, aggiunse: «non credo ci sia neppure campo qui dentro. È una grossa scatola di metallo. Il mio telefonino non prende.»
Il Pony guardò impaziente l’orologio. Erano già venti minuti che era lì: il suo extra si era appena andato a farsi benedire.
«Non ci resta che aspettare che il sig Fraschi esca con l’ascensore e torni a piedi o che qualcun altro salga quassù per sbaglio e apra quella porta» sbuffò Adams accucciandosi in un angolo. Dopo una qualche incertezza il mormone si mise a rovistare nella sua capace borsa da cui estrasse un dépliant:
«Come possiamo ingannare il tempo?» fece lui con un tono retorico. Poi fissò negli occhi il ragazzo sgomento e, facendo prendere alla sua voce un vago tono evangelico, esordì:
«Lei è pronto ad accogliere la parola di Dio? Perché lui ti vuole conoscere.»

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