Un brontosauro ferito

Quando apparve di sbieco sulla piazzetta di Lughi sembrava un enorme brontosauro ferito. E sbuffava, strideva, fremeva nella strettoia della edicola senza riuscire ad andare né avanti né indietro. Cosa ci facesse un TIR di quelle dimensioni in una piazza così minuscola nessuno sapeva spiegarselo. La camionale del resto si trovava più a sud, lontano da lì, ed era quasi impossibile non aver visto il cartello per quanto consunto potesse essere. L’autista però non si arrendeva. Con la trattrice cercava di guadagnare lo spazio utile per smuovere quel sacramento di autotreno, ma più manovre faceva più le ruote gemellari posteriori slittavano sui sampietrini bagnati e sdrucciolevoli insaccando ancor più il mezzo contro l’edicola di Tito. Cominciò così ad accorrer gente da ogni dove. Il Bar del Cinghiale si svuotò in un attimo, così come i negozi che si affacciavano sulla chiesa e quelli delle strade vicine: i lamenti di quel paradosso in agonia di pneumatici e lamiera erano un richiamo irresistibile per la vita quieta del paese.
In un lampo, dopo aver tirato non so quante leve e premuto pulsanti, un omino grasso, biondo dagli occhi chiari uscì dalla cabina con un balzo; nel controllare quanto il proprio mezzo fosse rimasto incastrato nella curva si mise a sbraitare e a colpire l’edicola con il suo cappellaccio. Era straniero, probabilmente slavo, e dal tono e dalle espressioni della faccia stava imprecando e bestemmiando con tutti i sentimenti. Arrivò anche Adelio il vigile, che gli intimò di spostare immediatamente il TIR come se fosse stato semplice o solo possibile farlo. Ma lo straniero gli spiegò a gesti che l’unico modo per far uscire di lì l’autotreno era di smontare l’edicola e pure in tempi rapidi perché lui trasportava merce deperibile. Era ormai tardi quando l’ostinazione del camionista si infranse sulle transenne poste di traverso alla strada a deviare la circolazione delle macchine dal centro: Tito sarebbe tornato infatti da quel suo lungo viaggio, da tempo programmato, solo l’indomani e senza le sue chiavi non era neppure ipotizzabile smontare alcunché dell’edicola. L’autista era così furibondo che il vigile non se la sentì di fargli la multa e così tutti i curiosi, avendo compreso che non c’era più nulla di spettacolare cui assistere, ad un certo punto se ne tornarono a casa come se l’autotreno avesse ormai cominciato a costituire parte integrante del paesaggio.
Erano le tre di notte quando l’anziana signora Beppa, come al suo solito, guardava alla finestra cercando di far passare la notte. Stava contando i riflessi dei lampioni nelle pozzanghere allorché vide un’ombra scivolare dietro all’autotreno ancora immobile nella sua morsa di cemento. Un uomo basso e tarchiato armeggiava nella parte posteriore del carico con delle chiavi e poi con un paletto. Quindi le due ante della porta si dischiusero lentamente senza far alcun rumore e uno dopo l’altro uscirono alla chetichella una ventina tra uomini, donne e bambini. E in pochi secondi sparirono nel buio dei vicoli.

21 pensieri su “Un brontosauro ferito

  1. Adesso ho capito come “sbarcano con i Tir”. E quelli che pattugliano le coste che fanno? dormono e non leggono i tuoi post? :-).
    O.T. – Quella ragazza che hai commentato, mi ha detto che ti ha sentito :-).
    ciao e buon weekend*

  2. L’irriducibile speranza che qualcuno, sempre, da qualche parte, in un modo magari improbabile ma inesorabile, riesca a concretizzare un sogno e farla in barba al Destino… Grazie!

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