Il rituale della notte

Quello era il suo rituale per la notte, sempre uguale nei tempi, nei gesti e nelle cadenze. L’uomo si stropicciava prima sulla poltrona, poi si alzava ciabattando verso il bagno; di ritorno, dava un ultimo boccone al gatto e si incamminava infine alla scala di legno per raggiungere la camera da letto, non prima di essersi procurato però un bicchiere d’acqua da riporre sul comodino per ogni evenienza. In cima alle scale, accendeva la luce dell’anticamera, spegneva quella della sala e dava un veloce colpetto all’interruttore che illuminava il terrazzo a tasca, giusto per vedere, attraverso i vetri della porta finestra, che tempo facesse. Il tutto avveniva in una sorta di automatismo incolore, di meccanica preparazione al sonno, in uno stato, si sarebbe detto, di preipnosi. Il gatto non aveva infatti realmente bisogno di mangiare, il tempo che faceva non lo interessava più di tanto, soprattutto a quell’ora, e l’acqua nel bicchiere non sarebbe stata sicuramente bevuta. Ma così era.
Poi una sera, nello spegnere il televisore, avvertì una sorta disagio come se qualcosa fosse fuori posto.
Si guardò attorno con un’espressione vagamente interrogativa, come se non ci fosse stato proprio il silenzio della notte a fargli compagnia, insieme a quello della strada vuota e al solito fruscio teso del lampione all’angolo, che s’ingozzava di energia da disperdere in luce e vincere così l’incertezza della via. Andò come al solito al bagno e quindi alla ciotola del gatto. Per quanto avesse armeggiato con la scatoletta, però, il micio non arrivava. Lo attese ugualmente per qualche minuto, allungando il collo per vedere se sarebbe sbucato dal corridoio. Poi il sonno fu più forte. Alzò le spalle in senso di resa e dopo aver riempito il bicchiere d’acqua fresca ciondolò verso la scala che salì, un passo alla volta, verso la destinazione finale. Giunto in cima alle scale si fermò pensieroso domandandosi se avrebbe fatto tuttavia meglio a cercare il gatto. Ma poi nel buio sentì un rumore alla sua destra: accese la lampada e il micio era effettivamente lì che lo osservava sorpreso. ‘Ah sei qui, pigrone d’un gatto’ fece lui dando il solito colpetto all’interruttore del terrazzo. E subito il viso di un uomo apparve spiaccicato contro il vetro della portafinestra a guardarlo fisso. Per lo spavento si rovesciò l’acqua addosso e, mettendo un piede in fallo sul primo gradino della scala, scivolò giù per le scale, a peso morto, con gli occhi sbarrati per quello che aveva visto.
‘Era solo un barbone’ gli spiegarono il giorno dopo in ospedale. ‘Si era rifugiato sul suo terrazzo per scampare al freddo pungente della notte. È passato dai tetti, ma non le avrebbe fatto nulla, glielo assicuro: ha avuto più paura lui di lei che viceversa’.
Sarà stato anche così. Certo è che ancora oggi, a distanza di mesi dal fatto, quando gli capita di trovarsi sotto stress, si mette improvvisamente a balbettare e a strascicare le parole in una specie di tic incontrollabile. E ora l’insonnia è la sua più fidata amica.

16 pensieri su “Il rituale della notte

  1. …che paura… >.<

    riguardo a Alexander:
    Beh, sul prolisso sono d’accordo.. noioso no, dai, alla fine ho visto di peggio. Sulle ricostruzioni storiche non mi dilungo xchè non sono molto “ferrata” sul periodo storico in questione ^_^

  2. io ho un criceto stuido (ma adorabile) e due bengalini…non sono molto da guardia… devo cominciare a preoccuparmi?

    ogni parola merita di essere letta, davvero un bellissimo spazio per generare un po’ di fantasia ^^

  3. stavo giusto per cominciare il mio rituale: i denti già lavati, un bicchiere d’acqua sul comodino,il micio che mi segue per acciambellarsi ai miei piedi.. e tu mi fai venire i brividi!!!

  4. veramente il nome è l’ultima cosa che ricordo.. anzi, in realtà è l’ultima nell’ordine d’importanza.. m’innamoro sempre e molto dei volti.. il nome viene dopo.. in questo, sono shakesperiana…

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