Il giudizio finale

Non appena ebbe terminata l’ultima frase, nel silenzio e nello stupore dei presenti, lui allargò le braccia come per contenere tutte le persone che aveva davanti. Scattò un applauso irrefrenabile. Tutti si alzarono in piedi sorridendo e vociando, gridando il suo nome. Persino dal loggione risuonarono urla di viva approvazione e piovvero rose e gigli e persino stelle filanti. Il direttore d’orchestra era commosso. Gongolava con le braccia incrociate e da quell’abbraccio spuntava la bacchetta che, vista così, sembrava l’antenna di una radio. Sul palcoscenico si affacciò quindi un signore malvestito mostrando solo la faccia tonda: il direttore gli fece un largo cenno di consenso. Fecero così subito ingresso, provenendo dai lati del proscenio, due bellissime donne in taftà azzurro. Il loro passo era così leggero che pareva non camminassero; presero sotto braccio l’uomo che si stava ancora godendo con gli occhi lucidi il suo trionfo e lo accompagnarono sorridenti dietro le quinte. Il sipario si chiuse con un fruscio morbido e d’un tratto, come se fosse stato premuto un interruttore, ritornò il silenzio in sala. Trascorsero solo pochi minuti e il sipario si aprì nuovamente: al centro del palco, sotto un fascio di luce diretta, ora c’era un omino un po’ goffo con gli occhi bassi che proprio non gli riusciva di alzarli verso quel pubblico impaziente. L’assenza di suoni e di rumori si stava facendo imbarazzante. Fu solo dopo qualche urlo di incitamento, non proprio garbato, che l’omino iniziò a raccontare pure lui, con una lucidità sorprendente, le azioni, le omissioni, le malefatte, le miserie e le poche glorie che avevano costellato la sua vita. Come gli altri, ricordava tutto, ogni minimo particolare, anche gli episodi più nascosti, che potessero però essere rilevanti in quel consesso. E non appena ebbe proferita l’ultima parola, nella sorpresa e nell’incredulità degli astanti, lui allargò le mani come per invocare pietà e comprensione in coloro che lo avevano ascoltato. Ma subito esplosero fischi e schiamazzi di biasimo aspro e crudele. Gli gettarono cuscini, panini raffermi, monetine ed altri oggetti innominabili. “Alle fiamme, alle fiamme” sbraitarono feroci dal loggione “che sia divorato vivo per l’eternità dalle belve immonde!”. Il direttore di orchestra aveva le mani nei capelli e la sua bacchetta era sparita. Scosse abbondantemente la testa all’indirizzo dell’uomo dalla faccia tonda che, puntuale, aveva già fatto capolino come un folletto. E subito dal proscenio, dall’uno e dall’altro lato, due rozzi e nerboruti individui, agguantarono l’omino buffo cominciandolo a tirare, ciascuno dalla propria parte, non riuscendo a mettersi d’accordo sulla direzione da prendere. L’uomo raggelato da quella salve di insulti e improperi non si stava accorgendo di nulla, neppure che uno dei due litiganti, strattonandolo con troppo entusiasmo, gli aveva maldestramente strappato un braccio ruzzolando all’indietro con il moncone esangue tra le mani. Poi il sipario, fendendo l’aria, si richiuse. In sala tutto tacque per qualche minuto. Quando le luci si riaccesero, al centro del palcoscenico, c’era una signora distinta, sui settant’anni, con i capelli bianchi che avevano preso un leggero riflesso azzurro sotto quella pioggia di luce. Dopo un attimo di smarrimento, iniziò anche lei a raccontare la sua vita per il giudizio finale.

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