Passerottino mio

Avevo deciso di bermi un caffè al nuovo locale della piazzetta di Lughi, il Bar ‘Ombra de Palma’, sperando che Oreste, dal Bar del Cinghiale poco distante, non se ne accorgesse. L’aroma del caffè, in quest’altro posto, effettivamente, era più intenso e gradevole e soprattutto, come dicono gli intenditori, più ‘tondo’, anche se non ho mai capito bene cosa questa espressione esattamente significhi.
Al bancone c’era una donna, sulla cinquantina, capelli méchati, corti, con un viso sorridente che sprizzava energia e vitalità. Per la padronanza con cui si muoveva tra bicchieri e bottiglie la reputai la moglie del barman, anche se francamente non ce li vedevo insieme. Comunque fosse, la signora, con sincronica precisione, mentre con una mano mi preparava il caffè con l’altra calibrava una bevanda pittoresca, piena di colori e bollicine, per un tizio che mi era accanto. E mi aveva appena posato davanti la tazzina fumante e profumata, quando, guardando da sopra la mia testa, scoppiettò con un:
«Passerottino mio, tesoro della mamma, come stai?»
Mi voltai, sicuro di vedere un bambino. Invece era un omone di un metro e novanta, con spalle larghe e muscolose, a stento trattenute in una camicia di fla­nella a scacchi, gonfia come un aerostato. Fece un cenno del capo, a mo’ di saluto, senza scomporre il viso largo e giovanile, del tutto indifferente a quel­la calorosa accoglienza. L’uomo, mentre passava in rassegna la ricca varie­tà di pasticcini, pizzette e bignè, che occhieggiavano promettenti dalla vetrina del banco, si dondolava un poco sulle gambe, prima sull’una e poi sull’altra, come se avesse avuto urgenza di andare in bagno. In quell’ondeggiare, il pavimento rimandava a raggiera onde sussultorie.
«Allora, cosa ti do, Passerottino? E’ tutto freschissimo» fece la donna gentile afferrando la pinza per i dolci. L’omone sbuffò alcune volte, come se si stesse preparando a rovesciare con una spallata il bancone. Poi prese un grosso respiro e disse:
«Nabrioscia.»
La parola fu sussurrata in falsetto con un effetto esilarante perché sembrava che quella montagna d’uomo avesse davvero cinguettato. La barman agganciò ubbidiente la brioche e l’allungò all’omone senza smettere di sorridere affabile. Il Passerottino artigliò il pezzo per poi spingerselo tutto intero in bocca facendolo sembrare un confetto: al primo abbassarsi delle possenti mascelle, la marmellata di albicocche, gemendo, fuoriuscì dagli angoli della sua bocca. Poi ingoiata ogni cosa, senza prendere neppure un caffè, l’omone si presentò alla cassa con il portafoglio in mano.
«Nabrioscia.» Cinguettò ancora, pronto a pagare.
«Oggi offre la casa» rispose raggiante la donna. L’omone si voltò senza neppure dire una parola, dirigendosi, beccheggiando, verso l’uscita. Una persona anziana, seduta ad un tavolino vicino alla porta, vedendolo passare, gli chiese:
«Già fatto colazione, Carmelo? Cos’hai mangiato?»
L’omone voltò il faccione inespressivo e lo sguardo acqueo. Ci pensò un po’ su e quindi rispose:
«Nabrioscia.»

25 pensieri su “Passerottino mio

  1. ma quale vacanza ..magari! sono qui che rincorro il lavoro sperando di acchiapparlo per la coda! mille scadenze e un esaurimento prossimo 😉
    Ci vorrebbe “nabrioscia” e soprattutto il coraggio di cinguettare anche se appesantiti chi in un modo chi in un altro…

    P.S. che dialetto è?

  2. finalmente ti ritrovo! che bello;) io capito a leggerti spesso, ma pensavo che i tuoi impegni fossero tali da non riuscre a capitare a trovarmi. Sono contenta.
    devo sistemare il mio blog perchè ho perso l’immagine che avevo prima.. qualche suggerimento?

  3. Grazie per il commento nel mio sito… Sto guardando il tuo e devo dire che mi piace moltissimo. Soprattutto la grafica essenziale e ordinata. E’ tuo il template?

  4. Prima di tutto ben tornato, sul passerottino cosa devo dire, è vero a volte assumono una forma strana, ma se passerottini sono allora passerottini bisogna chiamarli. Bravo come sempre

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