La diassopea pruriginosa

Jonathan era in procinto di uscire dall’agenzia quando si mise a piovere. Il cielo aveva assunto il suo solito color violetto e l’aria era satura di piombo. Estrasse dalla sua borsa l’ombrello in alletex e pensò che, dopo tutto, non era lontano da casa. Inoltre, appena pochi isolati di lì, sarebbe iniziata la pensilina, quella specie di copertura costruita pressoché dappertutto in mezzo alle strade del centro onde permettere alla gente un riparo sicuro dalla pioggia e di continuare a passeggiare liberamente. Da quando da una decina d’anni la pioggia aveva assunto la attuale consistenza acida al 78%, esporsi all’acqua meteorica era del tutto sconsigliabile. Non solo i vestiti venivano facilmente oltrepassati dalle gocce rovinandoli completamente, ma i casi di ustione alla pelle e agli occhi erano incidenti divenuti piuttosto comuni. Bastava del resto osservare come fossero cambiate anche esteticamente le città dopo la Grande Pioggia del 2044. La plastica e il cotto erano stati sostituiti ovunque da leghe acidoresistenti, cosicché le grondaie, i tavolini, le vetture delle macchine, i vasi di fiori, i tetti delle case erano monocromi avendo assunto tutte le sfumature del grigio proprio dei nuovi materiali. Sembrava di trovarsi all’interno di un film in bianco e nero, dove la realtà era stata sospesa nella speranza di un improbabile evento che innescasse una reazione a catena contraria.
Jonathan, spalancò il suo ombrello puntandolo al cielo. La pioggia aveva cominciato a scendere decisa. Là ove cadeva sul selciato aveva preso a sfrigogliare e ribollire come sempre, formando una schiuma bianca e maleodorante. Ben presto sarebbe stata necessaria anche la mascherina, pensò l’uomo guardando le volute dei fumi acidi alzarsi da terra, e accelerò il passo.
Ma ciò che più destava la sua preoccupazione erano le diassiopee pruriginose, gli zucchini d’oro, come erano state battezzate in un tempo alla loro prima comparsa. Mentre l’acqua acida aveva azzerato le piante comuni, già peraltro molto rare in città, nel nuovo ambiente ostile era nato, a sentire i botanici, un fiore nuovo, appunto la diassiopea. Inizialmente delle dimensioni di un ciclamino, la pianta aveva attecchito spontaneamente sui marciapiedi, sui muri delle case, attorno ai cartelli stradali. Cresceva rapidamente, nel giro di poche settimane, e in ogni stagione dell’anno dava un frutto (a forma di zucchino giallo) che prendeva il posto di un profumatissimo fiore rosa, il cui sapore delicato ricordava lo yogurt ai frutti di bosco, ma con la consistenza di una crocchetta di patate. La gente aveva imparato ad apprezzarlo e se ne cibava volentieri cogliendolo direttamente in strada.
Poi ci si accorse che la diassiopea aveva preso a cibarsi di vespe e farfalle che le si avvicinavano attirate dal profumo intenso del fiore. L’ingestione vorace di questi insetti aveva portato anche ad un maggior accrescimento della pianta che diventò in poco tempo alta una cinquantina di centimetri. Quindi cominciarono a sparire dalle città piccoli topi, uccelli e gatti di modeste dimensioni. La pianta si era sviluppata ancora, ad altezza d’uomo, e poiché non aveva antagonisti ambientali, si era moltiplicata un po’ ovunque.
L’allarme scattò una notte quando una diassopea, alta ormai tre metri, aveva rotto il vetro di una finestra del primo piano e, protendendosi all’interno di una casa, aveva catturato un neonato nella culla. Che fosse un episodio vero o solo la proiezione della fobia isterica della gente, non è dato sapere. Certo è che fu sufficiente perché il sindaco diramasse l’ordine perentorio di abbattere tutte le diassopee allignate sul tessuto urbano e di bruciarle per strada, istituendo un servizio apposito di vigilanza per l’ipotesi di attecchimento di qualche nuovo esemplare. La pianta infatti adesso era capace di svilupparsi di diversi metri in pochissime ore e la sua voracità era indubbiamente tale da far sì che fossero divenuti frequenti le aggressioni nei confronti dell’uomo soprattutto durante i piovaschi improvvisi.
Jonathan sapeva tutto ciò, ma desiderava tornare a casa il più preso possibile: solo lì si sarebbe sentito infatti del tutto al sicuro. Il servizio di vigilanza era molto efficiente, lo sapeva bene, ma altrettanto efficace era stata la strategia di sopravvivenza elaborata da queste piante che, per sfuggire alla caccia dell’uomo, avevano preso ad assumere il colore della parete di un edificio o di un pluviale o di un lampione, giusto per mimetizzarsi e rendersi invisibile.
Non era tranquillo, Jonathan, non lo era affatto e più si inoltrava sulla via del ritorno più si convinceva di non aver fatto la scelta giusta. Poi svoltò l’angolo.
Una diassopea era proprio lì davanti a lui, ma dall’altra parte del marciapiede: non sembrava essersi accorta della sua presenza. Jonathan cercò di appiattirsi al muro scivolando lentamente senza perdere di vista la pianta che pareva persino addormentata. Fece così alcuni metri raggiungendo l’altro spigolo della casa. Svoltò rapidamente, era salvo, pensò. Ma proprio in quell’istante il getto gelato di un acido fortemente aggressivo lo investì alla nuca prendendolo in pieno. Jonathan gridò dal dolore e cadde a terra toccandosi la testa che si stava sciogliendo in un ribollìo confuso; spasmi acuti cominciarono a devastargli tutto il corpo. Quindi l’uomo cominciò a sentirsi trascinare oltre la strada. Un legaccio di fibra verde gli si era attorcigliato attorno alla caviglia. La diassopea stava tirando a sé la sua nuova preda. Lo schizzo di acido prodotto dal suo stomaco aveva fatto il suo dovere e ora le spettava un abbondante pasto.

8 pensieri su “La diassopea pruriginosa

  1. ma come fai a scrivere delle storie cosi’ belle e inquietanti con questo ritmo? magari trovare in libreria dei racconti cosi’ belli da leggere tutto d’un fiato…
    Come sempre sei eccezionale!

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