Il cavaliere

Il soldato non poteva credere a quello che aveva appena visto. La gola gli si era fatta secca e un sapore come di aceto andato a male gli si era sversato in bocca. Ma non c’era tempo. Un rumore di rami e di foglie, violentemente spostate, attirò la sua attenzione al limitare del bosco, ad un centinaio di metri davanti a lui. Con il cuore pulsante nelle tempie, ritornò precipitosamente nel suo fortino. Ma perché aveva lasciato che il suo fucile rimanesse scarico? Un cavaliere, uscito di prepotenza dalla boscaglia, stava spronando il suo baio in un galoppo ampio e vigoroso. Era solo, ma la sua sciabola luccicante ai raggi obliqui d’autunno sottolineava il ghigno furibondo che feriva il suo volto. Gridava il cavaliere al suo nemico, anche lui da solo, asserragliato nel fortino, gridava per terrorizzarlo, perché non facesse in tempo a organizzare una qualche difesa: gli urlava tutta la rabbia e la paura di quello scontro. Sembrava il dio della guerra, la materializzazione del Male e di tutto quanto può inoculare terrore in una battaglia fratricida e senza fine. Al soldato tremavano le mani, ma non perse tempo. Posò il fucile, prese la cartuccia della polvere da sparo, stracciò la carta con i denti e la versò nella canna. Non riusciva a guardare quello che stava facendo perché gli occhi erano puntati sul cavaliere che si avvicinava sempre più promettendo morte e distruzione. Il soldato introdusse lo stoppaccio e fece scivolare la palla di piombo lungo la canna. La sentì scendere sguisciando con quel suo rumore tipico che mille altre volte aveva sentito. Afferrò la gelida bacchetta di ferro e premette ben bene la palla sul fondo della canna. Dio mio, non ce l’avrebbe fatta questa volta, era troppo vicino. Lo fissò ancora: ad ogni balzo gli zoccoli poderosi del baio sollevavano le zolle pesanti, mentre una brezza ghiaccia scompigliava i capelli biondi e crespi dell’uomo a cavallo. Sarebbe stato bello mettersi lì e guardarlo galoppare con la forza ed eleganza degli eventi travolgenti della natura.
Il soldato non si fece però ammaliare: imbracciò d’istinto il fucile e, senza prendere la mira, tirò il grilletto senza esitazione. Il cavaliere era lì che gli si poteva sentire il fiato. Ma il bagliore accecante della fiammata lo raggiunse più velocemente di ogni altro pensiero. Il superbo baio si impennò ucciso da quel messaggero freddo e funesto che, facendosi strada dentro di lui, avido di morte, si affrettava a cancellare la sua fierezza e il suo desiderio di correre nell’aria tersa. Il cavaliere perse l’equilibrio, franando sulla terra fradicia di pioggia, stroncato dal suo cavallo tante volte accudito, che gli si era accasciato addosso. Il soldato scavalcò la trincea. Fece appena in tempo a scorgere i fremiti di morte del cavaliere mezzo sepolto dal suo animale che gli aveva spaccato in due la schiena. Nello scuotimento delle convulsioni, un liquido giallastro misto a grumi di sangue gli uscì generoso da un orecchio. Non c’era più odio in quello sguardo quasi spento, non c’erano più nemici distinguibili solo per la casacca di una foggia diversa.
Poi il soldato, allibito, vide che cavallo e cavaliere si stavano come sciogliendo. Come fosse la terra a bere quei due corpi morti. L’erba si macchiava dei colori di quei cadaveri spandendo liquido arcobaleno attorno ai suoi stivali sdruciti fino a quando rimasero poche tracce scure e indistinguibili nel tramonto ormai prossimo.
Il soldato non poteva credere a quello che aveva appena visto. La gola gli si era fatta secca e un sapore come di aceto andato a male gli si era sversato in bocca. Ma non c’era tempo. Un rumore di rami e di foglie, violentemente spostate, attirò la sua attenzione al limitare del bosco, ad un centinaio di metri davanti a lui. Con il cuore pulsante nelle tempie, ritornò precipitosamente nel suo fortino. Ma perché aveva lasciato che il suo fucile rimanesse scarico?

14 pensieri su “Il cavaliere

  1. non mi dilungo in complimenti, solo per amor di precisione (e attitudine rompi) ti ricordo un refuso di battitura da sistemare quando hai tempo: ” ma non per se tempo”.

  2. grazie. grazie perchè mi regali ogni volta molto di più di quanto non mi abbiano dato tre libri di de carlo. e i libri di de carlo non sono corti. ma non sono nemmeno pieni. mi hanno lasciato così. tutti e tre. tu non lasci mai così. tu non lasci mai. ripenso alle tue parole per giorni, a volte. ma adesso non ti montare la testa eh? non ti montare la testa.

  3. Il mio sara’ anche un blog “davvero simpatico” ma per questo non trovo aggettivi che non sembrino banali o riduttivi. Come cercare un ciondolo dorato che ti è appena caduto dentro una gioielleria di Cartier. Penso che il tuo sia davvero la riprova che i blog si creano spesso per trovare uno spazio di espressione. E per i viandanti come noi, questi sono veri colpi di fortuna.

  4. Come sempre nella tua scrittura il finale è a sorpresa, anche se questa volta sfoggi una penna “crudele”, regalandoci un ulteriore elemento di sorpresa. Certo la banalità non abita mai qui, Gardenia tua indefessa lettrice.

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