È questione di ritmo

 

Uno degli aspetti più evidenti del passaggio repentino tra la vita di città e quella di paese è la diversità di ritmi: convulso in città, tranquillo in paese.
Così può capitare che, dopo un periodo più o meno lungo di permanenza in città, si ritorni in paese senza riuscire ad adeguarsi alle diverse cadenze del borgo. Il giornalaio, il negozietto di alimentari, il bar, non sono luoghi dove consumare, i propri riti di passaggio, ma punti di aggregazione, di socializzazione, spacci di rifornimento di notizie e del gossip paesano, dove prelevare dicerie per depositarne delle altre.
All’iper del grosso centro di Tòdaro non c’è verso, invece, di far conversazione con la signorina alla cassa, non tanto perché, essendo carina, non dà confidenza a nessuno, ma in quanto ha il capo sempre chino, concentrata com’è nel far passare nel rivelatore di codici a barra il maggior numero di oggetti nell’unità di tempo, senza perdere di vista la fila, l’ispettore di ottimizzazione nascosto dietro la colonna, la carta di credito da controllare sul retro se è firmata, la ricevuta da dare al cliente, la merce da inserire nella varie buste divisa per tipo e dimensione.
Al contrario, agli alimentari di Lughi, dopo cinque minuti a soppesare un melone che poi non si comprerà, si è già al corrente della salute della Beppina che sta sempre peggio e bisogna portarle la spesa a casa che ha appena telefonato o dei progressi di Marietto, il figlio di Giovannino il muratore, che ha imparato a camminare ma continua a sbattere contro gli spigoli delle porte.
E arrivavo proprio da un periodo da sovra dosaggio da città quando atterrai un bel pomeriggio nell’unica farmacia di Pievani, altro modesto borgo della zona. C’era un po’ di gente, ma questo non era un motivo sufficiente per creare del disagio a Marilena, l’anziana farmacista alta, come si dice, un metro e una siringa, che per percorrere lo spazio di pochi metri tra la cassa e gli scaffali dei medicinali sembra metterci un tempo interminabile. Non avendo io ancora “rallentato” il mio tempo per adeguarlo al passo di Marilena, mi stavo spazientendo.
Avevo ancora un paio di persone davanti quando ad un certo momento entrò, urlando, tutta eccitata, una signora:
“Stanno nascendo, stanno nascendo, corri…”
Marilena che stava per consegnare al cliente di turno il medicinale, lo scontrino e il resto in danaro mollò ogni cosa sul bancone al grido:
“Ma davvero?!? Ma davvero?!?”.
In un lampo, dimenticandosi del suo passo strascicato e stanco, sgusciò via dalla farmacia piena oramai di gente.
“Ommadonna…” esclamai io “…e che è successo ora?”
Gli astanti invece di arrabbiarsi per il contrattempo cominciarono a commentare l’accaduto. Tant’è che uno poi mi disse:
“E’ la Lolli, sta diventando mamma…”
“Ah” dissi io fingendo di comprendere la gravità del momento. Evidentemente il fatto che la Lolli fosse incinta era un argomento che mi ero perso.
“Pensi…” disse un’altra donna che faceva a fatica a tenere in braccio una bimba che non stava ferma “… pensi che sembrava spacciata due anni fa, quando è finita sotto una macchina… sua mamma era disperata, faceva una pena infinita.”
“Beh, mi spiace, se le cose stanno così….” feci io “…allora, insomma, è il suo momento…”
Passò un quarto d’ora buona. Io francamente mi sentivo un po’ più disteso: l’effetto campagna stava facendo il suo corso, il tempo stava rallentando anche per me. Quell’attesa mi appariva infatti ogni minuto più sopportabile tanto che mi accorsi di essermi fatto coinvolgere da quella contagiosa atmosfera di buonismo e contentezza generale.
Poi tornò la farmacista. Le due porte automatiche si spalancarono di colpo come fosse stato un effetto scenico ben preparato. Marilena entrò trionfante esibendo un gattino piccolissimo che con gli occhi chiusi miagolava così sottovoce che non lo si sarebbe sentito neppure attaccando l’orecchio ai suoi baffi.
“Questo è l’ultimo della cucciolata. La Lolli ne ha fatti sette e stanno tutti benone.”
Scoppiarono gli evviva e le congratulazioni alla farmacista, qualcuno applaudì.
Mi sfuggiva francamente quale fosse stato il grado di parentela tra Marilena e la Lolli, ma vedere quell’esserino lanoso poco più grande di un guantino che agitava una coda non più grossa di un’unghia, dava di colpo un senso a tutta quella situazione. Il ‘mio orologio biologico’ aveva finalmente preso i ritmi del borgo.


21 pensieri su “È questione di ritmo

  1. questo racconto e’ dolcissimo….ed io che vivo a roma dalla nascita a volte rimpiango la vita di un
    qulsivoglia paesino per il rallentare dell’orologio biologico ma e soprattutto per quello al polso!
    Ma sei sicuro che sia sempre cosi’?

  2. E’ strano la vita di paese dopo tanti mesi stressanti in città mi ha fatto bene questo weekend passato…ma vivere sempre in paese..succede che …dopo un po’..non so..ti ROMPI!!!!!!!!;-)Senza scherzi la cosa che mi ha fatto più paura nei miei periodi di vita in campagna è stata la noia altrui. Chi vive in paese da una vita finisce per essere annoiato e per non apprezzare dove vive…scusa il commento lungo ma l’argomento mi è vicino!grazie per la visita…”torno a fare un cast” [Un posto con Winston (al sole o all’ombra) con la straordinaria partecipazione di PZ]sul mio blog,a presto*Kiara

  3. E’ stato in effetti un salto venire via da Milano. Ma quando ci torno resisto al massimo due giorni, prima che la velocità mi stritoli un pò.
    Tornerò a leggerti 🙂

  4. Uguale anche per me… e ieri, a Milano, mi sono inviperita perché per comprare una coca ci ho messo 15 minuti, nel mio paese non lo avrei mai fatto…

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