Il Melo e il Contadino (seconda ed ultima parte)

Nelle ore che seguirono l’albero da frutto, nello sforzo di veder coronato il sogno della sua vita, cercò di trarre dal terreno il massimo nutrimento possibile. Una pioggia serale, breve ma intensa, riuscì anche a dissetarlo e a dargli maggior forza.
Il mattino successivo, come per miracolo, centinaia e centinaia di pomi già belli grossi e succulenti, spuntarono da ogni parte sui suoi rami tant’è che a stento riuscivano a trattenerli.
L’agricoltore, soddisfatto di quella messe inaspettata di frutta dolce e matura, e soprattutto di essere riuscito nel suo intento, si diede da fare, per l’intero giorno, a riempire tutte le cassette che possedeva.
Quando l’ultima mela fu raccolta, l’albero ricordò ansioso al Contadino:
“Bene, come vedi, io sono stato di parola e adesso tocca a te fare altrettanto” .
“Certamente!” esclamò l’uomo “te lo sei davvero meritato!”
Il Contadino avvicinò a sé una cassetta ricolma di belle mele e disse:
“E sia!”
Erano state appena pronunciate queste parole che all’uomo, lentamente, dalla cintola in giù, in luogo delle estremità inferiori, comparvero delle nerborute e profonde radici, mentre al Melo crebbero delle forti e muscolose gambe.
All’albero non sembrò vero.
Cominciò a saltare su se stesso e a piegarsi sulle ginocchia e a scalciare nell’aria. Cantava, rideva, pronunciava persino frasi incomprensibili.
“Bada” redarguì ancora l’agricoltore ormai immobilizzato al terreno “potrai avere le mie gambe per ventiquattro ore soltanto perché di più non è possibile. In caso contrario potresti pentirtene amaramente. Vai e abbine cura.”
“Va bene, va bene” gridò il Melo, che, dopo essersi disfatto in fretta e furia dei suoi nidi di uccelli che in qualche modo lo intralciavano, si allontanò di corsa da quel campo di grano tanto odiato: “me ne ricorderò, me ne ricorderò, puoi starne certo… i patti sono patti!” furono le sue ultime parole.
Ma passarono ben tre giorni da quel momento e dell’albero non si vide neppure l’ombra.
Il Contadino aspettò paziente godendosi la tranquillità e il giusto riposo.
Solo al tramonto del quarto dì, quasi piegato in due, il Melo fece ritorno al podere. Era stremato e si trascinava a fatica, incespicando pressoché ad ogni passo.
“Te l’avevo detto di tornare dopo non più di ventiquattro ore” disse il Contadino con l’aria di saperla lunga “avresti dovuto fare solo un giretto qua attorno, come avevi promesso, non un viaggio chissà dove!” .
“Tu-tu lo sa-sapevi…” balbettò l’albero tremante “tu lo sapevi che sa-sarei tornato in queste condizioni…”
“Sì temevo che non avresti rispettato il nostro patto… la tentazione di prolungare all’infinito la possibilità di muoverti, di vedere posti nuovi, di fare conoscenze interessanti” fece l’uomo aggiustandosi il cappello sulla fronte “sarebbe stata molto forte. E poi hai sempre voluto far di testa tua, tu! Mai una volta che avessi accettato di buon grado un consiglio! Per questa ragione, non fidandomi di te, mi son messo qui accanto questa cassetta di mele con cui mi sono tenuto in vita durante tutto questo tempo. Ma tu, privato delle tue radici, non hai davvero avuto nessuna possibilità di nutrirti per sopravvivere. Non sapevo quando, ma ero sicuro che prima o poi avresti avuta la necessità di ritornare a riprenderti le tue radici che per te, come vedi, sono assolutamente indispensabili per esistere!”
Così dicendo, in un attimo, il Contadino si riprese le sue gambe restituendo le radici all’albero che riprese ancor più triste la sua posizione di sempre.
“Volevi gabbarmi vero? Avevi deciso di lasciarmi qui al tuo posto per potertene andare a spasso? Non ti importava un bel nulla del fatto che io, il Contadino che si è sempre preso cura di te, togliendoti le muffe e i parassiti, potandoti con amore ad ogni buona stagione, potessi morire di fame e di sete! Bella riconoscenza, bel modo di ripagarmi!” disse con aria di severo disappunto l’uomo.
E senza aspettare risposta il Contadino se ne andò dritto dritto al capanno degli attrezzi da cui se ne uscì con una grossa ascia.
Con pochi risoluti colpi, incurante dei lamenti ormai flebili del Melo morente, lo abbatté senza troppa fatica e ne fece legna da ardere.

“Insomma si può essere felici anche nella vita monotona di tutti i giorni, vero zio?”
“Verissimo. Ma ora posso darci un’occhiata al tuo quaderno, Phil?”
“No, solo quando sarà finito.”
“Ma se abbiamo detto che ti racconterò le favole anche quando sarai grande. Il tuo lavoro non finirà mai.”
“Infatti con la mamma ho comprato un pacco di quaderni grosso così!”
“E lei te li ha comprati?”
“Sì, però le ho detto che mi servivano per la scuola!”
“Non va bene dire le bugie! Soprattutto alla mamma.”
“Ma io l’ho detta come tuo nipote. Siccome tu mi dici sempre che non sono tuo nipote, in realtà la bugia è come se non l’avessi mai detta.”
“Mi sa che stai diventando un po’ troppo furbo, Phil.”
“Ho avuto un buon maestro, zio.”

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