La croce e la corona

 

Una cosa di cui non mi ero ancora accorto, nella stanza H88, era l’esistenza di un cumulo di carta ben riposto in un angolo semi buio. Non era, in evidenza, qualcosa che fosse attinente alle pratiche archiviate lì nel Tribunale di Lughi. Con tutta probabilità qualcuno l’aveva sistemato in quel posto non sapendo bene che destinazione dargli. Lo spostai su di un tavolo che gentilmente Celestino mi aveva messo a disposizione, proprio sotto la lampadina che avevo cambiato. Si trattava, a ben vedere, di una pila di giornali pubblicati nella prima metà del ‘900. Erano legati da uno spago consunto, fermato da un piombino marchiato con una pinza. Come pensavo, appena toccai lo spago si sfilacciò immediatamente e parte dei giornali cadde sul tavolo. Ne scelsi uno, recava la data del 28 giugno 1950. E mi misi a leggere.
In prima pagina spiccava, con caratteri sbiaditi, questa notizia:

Sono trascorsi giusto 25 anni dal giorno in cui il pescatore Maso Pincherle, intento a trarre sulla sua barca un luccio da dieci chili, vide, nella nebbia densa del fiume di quella mattina, un’imbarcazione che, ondeggiando come un tronco, era in rotta di collisione con la sua. La notò sbucare all’improvviso da dietro l’ansa del fiume coperta da alte canne. Fece voci, Pincherle, per richiamare l’attenzione su di sé, ma vide che chi si trovava a prua del barchetto non faceva nulla per evitare lo scontro; poi, quando ormai era a pochi metri, si accorse che la persona che si trovava a bordo, in realtà, era un grosso uccello acquatico che subito prese il volo, mentre il barchetto altro non era se non una cassa da morto.
Dopo pochi secondi il feretro speronò la barca del povero pescatore che, per il contraccolpo, cadde in acqua perdendo non solo il pesce appena catturato, ma anche l’imbarcazione che affondò immediatamente. La bara, invece, dopo aver proseguito ondeggiando portata via dalla corrente prese un forte mulinello d’acqua appena sotto l’arcata di un ponte, cambiando così improvvisamente direzione per poi arenarsi sulla riva. Giunto sul greto il Pincherle ha avvertito subito i Carabinieri che hanno accertato trattarsi della cassa di Nanni ‘Rosso’ Roveda, il noto leader di opposizione di Lughi recentemente scomparso. Il feretro era infatti stato trafugato dalla sala consiliare la sera prima ove era stata allestita la camera ardente. Si era pensato subito ad un’azione dimostrativa dell’emergente forza fascista che, per sbarazzarsi di un’ingombrante e simbolica figura politica aveva, notte tempo, sottratto la bara per affidarla al torrente Argea, peraltro gonfio d’acqua per le insistenti piogge di quel periodo. L’ottimo lavoro del maestro d’ascia Pirinzoni aveva fatto sì, però, che la bara non solo arrivasse incolume sino al fiume Riggio nelle cui acque si getta l’Argea, ma anche che non affondasse.
Con una grande cerimonia la salma, sotto un spiegamento imponente delle forze dell’ordine, è stata poi tumulata nel cimitero di Punta Moreno. Larga è stata la partecipazione della popolazione per la morte di un personaggio molto amato e dal largo seguito popolare.
Ma, i più attenti lettori, ricorderanno anche che non erano passati neppure un paio di mesi da quel fattaccio – continuava l’articolista – che i militi dell’Arma di Lughi erano dovuti nuovamente intervenire per una segnalazione dell’affossatore del cimitero di Punta Moreno. Ignoti, infatti, avevano disseppellito la bara del Roveda, l’avevano cosparsa di petrolio da lume, dandole successivamente fuoco. E’ stato il sollecito intervento dei vigili del fuoco a impedire il peggio.
La gente del luogo è rimasta molto impressionata da quello che aveva assunto il carattere di una vera e propria persecuzione politica nei confronti del Roveda che, evidentemente, faceva più paura da morto che da vivo.
Per evitare ulteriori gesti sconsiderati e reiterati atti di vilipendio al caro estinto, la famiglia Roveda ha deciso di far edificare una cappella di famiglia con tanto di porta blindata (americana) di sicurezza.
Ed oggi, 28 giugno 1950, l’epilogo.
I responsabili del cimitero, su richiesta della famiglia, hanno disposto la traslazione ordinaria delle ossa del Roveda in una teca più piccola. Ma rimossa la piastra di marmo che sigillava dall’esterno la cassa si è potuto constatare che non c’era assolutamente nulla nel loculo. La circostanza appare ancora più inspiegabile per il fatto che non sono stati trovati segni di effrazione né sulla porta, né sulla piastra. E’ difficile dire pertanto quando si sia verificata la sottrazione.
Il ritrovamento più scioccante però è stata la scoperta, al posto del feretro, di una lampada ad olio su di una bibbia e di una croce posta all’interno di una corona.
Sono indubbiamente simboli massonici. Il che getta una nuova e sinistra luce sulla figura di Nanni Roveda

8 pensieri su “La croce e la corona

  1. Deliziosa cronaca, che suona tutte le note. “L’affossatore” mi ha affascinato. Sei straordinario, Briciola. Un abbraccio, amico mio, è una fortuna leggerti. Percival

  2. Sempre interessante la tua scrittura a tutto tondo che va dall’umorismo, al sentimentale, per giungere fino all’horror… Sei bravissimo, bacio, g.

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