La pomata miracolosa

“Posso, per un momento, parlare al medico anziché all’amico?”
Tonio mi guardò da sopra gli occhiali da sole scostati sul naso. Poi disse:
“Veramente il medico ha appena chiuso lo studio e a prendere il sole su questa meravigliosa terrazza c’è solo l’amico.”
Dicendo questo si dondolò con il corpo come per trovare la posizione migliore sulla mia sedia a dondolo in legno di quercia, un capolavoro di ingegneria artigianale che solo a Tòdaro sanno fare. Poi, senza più muovere un solo muscolo, sparò:
“Dai, scherzavo, dimmi cosa c’è. Anche perché sennò mi fai il broncio come i bimbi piccoli.”
A volte Tonio assumeva con me quell’atteggiamento burbero e sbrigativo proprio dei fratelli maggiori. In fondo però, forse, mi voleva bene.
“E che, facendo giardinaggio, l’altro giorno, mi si deve essere infilato uno spino sotto l’unghia del pollice e mi ha fatto infezione.”
Io a quel punto, seduto su di una scomodissima sedia di paglia, protendevo inutilmente all’indirizzo di Tonio il dito, giusto per farglielo vedere in modo che si rendesse conto. Ma l’unico gesto che lui fece fu quello di portarsi alla bocca il martini secco con l’olivetta dentro che, per il riflusso all’interno del bicchiere, gli rimbalzò sul nasone a patata. Passarono alcuni secondi imbarazzanti dopodiché, sconsolato, ritirai il pollice.
Lo sguardo andò allora a posarsi sulle colline davanti a me, ove, su quella più alta, c’è sempre a guardarmi un larice: è cresciuto, chissà come, al centro della malga, e se ne sta lì, tutto solo, a far da sentinella alla valle.
“Ci devi fare degli impacchi di acqua di camomilla e steridolo…”
“Come dici?” domandai a Tonio che sembrava aver meditato a lunga la terapia.
“Ammorbidisci della garza in acqua di camomilla cui devi aggiungere lo steridolo e ce la metti sopra: proteggi quindi il tutto con un pollice di lattice.”
“Oh grazie, sì, farò senz’altro così.”
Tonio finì il martini e posò il bicchiere sul tavolino che gli era vicino. Schioccò la lingua nella bocca.
“Cos’altro c’è?!?” mi chiese sbuffando, ma senza scomporsi dalla sua posizione a salamandra.
“Perché?”
“Perché hai sospirato e se ti conosco bene c’è dell’altro…”
“Beh… effettivamente qualcosa ci sarebbe… vedi Tonio, a volte ci sono dei giorni in cui avverto un’ansia addosso terribile, pur non essendocene affatto il motivo. Mi sento braccato come un animale selvatico, come se da un momento all’altro dovesse accadermi qualcosa di irreparabile e di letale. Ho provato a bere qualche tisana calmante o anche a fare qualche esercizio di rilassamento tipo Feldenkrais, ma il sollievo è minimo. Poi tutto, all’improvviso, passa, così come è venuto. Cosa mi consigli di fare?”
Per un po’ aspettai la risposta, poi mi accorsi che Tonio aveva reclinato la testa da un lato aprendo la bocca. Il respiro si era fatto regolare: si era addormentato.
Scossi la testa facendo considerazioni amare sulla differenza tra amici medici e medici amici: poi mi alzai dalla mia scomoda sedia e andai a sganciare dalla parete la campana che mi aveva regalato padre Ercole e la suonai. Alcune taccole, appollaiate su di un melo, quasi a fondo valle, si alzarono in volo spaventate. Tonio, invece, fece un balzo che quasi perse gli occhiali da sole.
“Ma sei scemo?” disse arrabbiato.
“Stavi dormendo! E proprio mentre ti stavo raccontando i miei problemi. Bell’amico del fischio.”
“Non stavo affatto dormendo! Accidenti a te! Stavo riflettendo su quello che mi hai appena detto…”
“Ah sì? Allora, secondo te, che cosa ci dovrei fare?”
Tonio, per un po’ mosse le labbra a vuoto come per cercare le parole giuste, poi disse:
“Mettici la pomata, quella al cortisone che ti ho dato l’altro giorno, vedrai che ti passa tutto.”

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