Il battesimo

Eravamo imbarazzati al funerale di Carlo Cusimani. Certamente avevamo tutti un po’ l’aria contrita e di circostanza, ma sembrava che ognuno avesse ancora negli occhi le pose erotiche e plastiche della signora perdutamente abbandonata tra le braccia del suo amante, così come erano apparse nel calendario pubblicato dal marito prima di suicidarsi. E’ terribile che, l’indole a volte meschina dell’uomo, così vicina alle cose terrene, porti a non aver rispetto neppure per la morte.
Io mi trovavo con Tonio nella camera ardente allestita nella tipografia di Carlo. C’erano diversi amici, conoscenti, semplici curiosi. Ma della moglie neppure il fruscio della sua sottoveste. Nessuno l’aveva più rivista dopo il fatto e, soprattutto, dopo la diffusione di quel famigerato calendario; chi era stato a casa sua l’aveva trovata chiusa e il garage spalancato e vuoto.
Era comprensibile questo comportamento, dopo tutto, pensai: dopo quello che era accaduto, chiunque, con un minimo di dignità e orgoglio, avrebbe evitato accuratamente di farsi vedere in giro, almeno per qualche tempo.
Poi arrivò la madre anziana di Carlo. E qui l’imbarazzo ebbe un’impennata.
Lei, vestita completamente di nero con un cappello floscio per nulla adatto all’occasione, entrò senza guardare in faccia nessuno. Nella mano inguantata sgranava con rapidità un rosario dai semi d’avorio. Si avvicinò lentamente al centro della sala, biascicando chissà quale litania. Passò davanti a me, sì che riuscii a sentire cosa diceva con un fil di voce:
“Brutta donnaccia schifosa, sgualdrina, puttana, maledetta… brutta donnaccia schifosa, sgualdrina, puttana, maledetta … brutta, donnaccia…” e tirò diritto verso il feretro, senza smettere di mormorare quelle parole.
Cercai, sconcertato, lo sguardo di Tonio. Ma la sua attenzione era rivolta altrove, a una signorina dai tacchi a spillo, con il capelli lunghi e biondi che le ricadevano quasi sul sedere e che aveva tutta l’aria, con la sua minigonna ombelicale, di star accompagnando malvolentieri il padre.
“Una grave perdita” mi disse avvicinandosi Oreste che era il più caro amico di Carlo “non posso pensare che non ci sia più.”
Aveva l’aria tristissima, gli occhi vivaci e mobili, come se stesse cercando il suo bicchiere da riempire generosamente con del whisky. Si asciugava le lacrime con le maniche di una giacca che si sarebbe detta di suo fratello più piccolo, tanto era corta e stretta; l’effetto-wurstel, per la carica di comicità involontaria che ne derivava, era in forte contrasto con l’aspetto afflitto e sofferente.
Arrivò anche don Remo che già sulla soglia del negozio cominciò a ripetere nervosamente: “Sono qui solo in forma privata, in forma strettamente privata”. Giusto per prendere le distanze e rendere esplicito ai presenti che, come uomo di chiesa, condannava con decisione il gesto folle di chi si toglie la vita. Con don Remo, Cusimani aveva avuto un buon rapporto di solidarietà, avendo Carlo provveduto, da anni, a stampare gratis il giornalino della parrocchia e i volantini per la festa patronale.
Un brusio mal soppresso aleggiava, così, in quel negozio che avevo invece sempre sentito pieno dei rumori gentili delle macchine di stampa, delle taglierine e delle presse. Il profumo dolciastro di alcuni lilium mescolati, chissà perché, ai crisantemi, copriva quei begli odori di inchiostro e di carta che mi avevano sempre fatto sentire a casa mia, in quel luogo, così come la cordialità e il buon umore di Carlo.
Poi entrò un altro signore, che non conoscevo: un bell’uomo, brizzolato, sulla cinquantina. Si tolse il cappello e si soffermò, compunto, in preghiera, con la testa leggermente chinata verso il basso e le mani raccolte sul davanti forse anche per tenere il cappello.
Un bambino staccatosi dalla mano della madre, che continuò imperturbabile a cicalare con un’altra donna dall’aspetto antipatico, si mise a correre per la tipografia facendo finta di far volare un aeroplanino rosso e giallo, probabilmente una di quelle sorpresine degli ovetti di cioccolata. Nel far questo passò sopra i miei piedi.
“Lei pensa che faccio male… se approfitto del fatto che sono qui…”
“Scusi ero distratto…” dissi io all’uomo brizzolato che aveva smesso di pregare “… sa” mi giustificai “quel bambino… mi ha appena pestato le scarpe, ma mi dica…”
“No, stavo dicendo… lei pensa che faccio male se approfitto del fatto che sono qui e ritiro un pacchetto che Cusimani mi aveva preparato… mi rendo conto che non sarebbe proprio il momento, ma sa è tutto pagato… sono i biglietti per il battesimo di mio figlio…”
“Si figuri… non lo chieda a me… se lo trova qui in giro…”
“Sì grazie, scusi ancora.”
L’uomo con passo lento, scansando delicatamente le pie donne con il velo nero che recitavano a ritmo incessante gli ‘eterno riposo’ alternati ai sibilanti ‘ora pro nobis’, tentando anche di evitare il ragazzino che continuava a correre facendo ora il verso del caccia da combattimento in picchiata, girò un po’ per tutto il negozio. Poi evidentemente trovò quello che stava cercando, perché lo vidi allungare una mano verso un bancone. Nel tornare indietro, con il pacchetto sotto il braccio, fece un sorriso molto garbato a me e a Tonio e uscì calcandosi ben bene il cappello sulla testa.
In quel mentre entrò ‘Gi che venne subito vicino a noi. Era trafelato. Aveva fatto tardi.
“Certo che ha un bel coraggio a farsi vedere qui!” ci disse con quell’aria da investigatore sempre all’erta.
“Perché?” chiesi io.
“Perché quello è proprio l’amante della signora.”

20 pensieri su “Il battesimo

  1. E’ circa una settimana che mi ritrovo ogni mattina in questo posto scoperto per caso. Complimenti! Sei così bravo che mi sembra impossibile che la tua ispirazione sia quotidiana… E comunque il tuo archivio è incredibilmente affascinante…

  2. Di volta in volta superando te stesso, dove arriverai? Temo ormai mi scarseggino gli aggettivi. So soltanto che una silloge di racconti così pregiata vorrei prefarla e recensirla io. Un abbraccio, Gardenia.

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