La piccola Haamiah

Un suono che mi ha sempre affascinato è quello delle campane. E’ un suono che sa di festa, anche se non è un giorno di festa, ed evoca sempre cose buone e visi sorridenti. Ovviamente faccio riferimento alle campane vere e a non quegli orribili effetti sonori preregistrati che a volte si sentono uscire da certi campanili: fa subito tristezza, perché sembrano provenire da una radio mal sintonizzata accesa per caso.
Così capita che, a mezzogiorno, quando per un qualche motivo mi ritrovo a casa, a Poggiobrusco, vado sulla terrazza che dà sulla vallata d’Argea ad ascoltare i rintocchi delle varie chiese. Parte per prima l’Haamiah, la campana secolare di San Luca di Pievani (la chiesa di padre Ercole), facendosi forte della sua maggior anzianità e della sua voce profonda, baritonale, direi carica di saggezza. Dal lato opposto le risponde la chiesa di San Properzio di Lughi (la chiesa di don Remo), che ha invece una voce più chiara e sonora. A metà dello scampanio di quest’ultima inizia, sovrapponendosi, quella più lontana di Punta Moreno, dal richiamo squillante e festoso, in contrasto con la seriosità della pieve di pietra scura cui è stata donata. Poi, via via, si uniscono tutte le altre, quella di Bigialli, di Tòdaro, di Castelmoreno, come se ci fosse un filo unico che le unisce l’una all’altra, quasi s’intrattenessero a parlare tra loro, a quell’appuntamento, in un cicaleccio vivace e intenso.
Padre Ercole, un giorno, mi aveva intrattenuto a lungo sulla vetustà (usò proprio questo termine) della campana della sua chiesa. Per fargli capire che seguivo con interesse quanto andava raccontando, gli chiesi cosa fosse quella iscrizione che cingeva, come un festone, la circonferenza della campana. Lui mi spiegò, tutto contento, che la frase era scritta in greco antico e avvertiva del fatto che ogni volta che si suonava l’Haamiah non solo si chiamavano a raccolta i fedeli, ma anche tutti i loro Angeli custodi.
Avendo io, evidentemente, fatto una faccia da miscredente, il sacerdote mi indottrinò a dovere sul tema con un discorso senza fine e pure dotto.
“Del resto perché non provi tu stesso?” mi disse quasi perdendo la pazienza.
“E come posso provare?”
“Semplice! Per rimpinguare le casse asfittiche della parrocchia, ho fatto preparare ad Agnone dieci modellini, in scala ridotta, dell’Haamiah. Come pensavo, i turisti le hanno comprate quasi tutte. Ne è rimasta solo una, prendila tu, te la regalo.”
“E che ci faccio, padre, con la campanella, la suono quando il pranzo è pronto?”
“Non essere sciocco, la usi per chiamare il tuo Angelo custode, quando hai bisogno di lui.”
“E’ che sono sicuro che mi sentirò piuttosto ridicolo a mettermi a suonare la campanella, padre, se si potesse evitare…”
“Basta, ho deciso! Ti vado a prendere la piccola Haamiah e vedrai che mi ringrazierai: hai visto mai che ti metta un po’ d’ordine in quella testa che ti ritrovi…”
Davanti ad una simile nobile causa, tacqui. E cedetti alla violenza.
Piazzai la campanella in terrazza. Per un po’ la guardai con diffidenza, poi, piano piano, finii per ignorarla. Per essere stata ben fatta, la piccola Haamiah, lo era, per cui la lasciai lì, perché tutto sommato ‘faceva bella figura’.
Poi un giorno mi sentivo particolarmente malinconico e inquieto. Come un gatto all’approssimarsi di un temporale. Solo che il temporale ce l’avevo dentro di me.
Mi affacciai alla finestra. Le colline del Cinghio stavano indossando un vestito verde tenue fatto di foglie e di prime gemme: una gioia per gli occhi non fosse stata per quell’angoscia che montava… Poi vidi la campanella. Uscii sulla terrazza e la suonai. La suonai più volte. Come se davvero volessi chiamare qualcuno. Si liberò così un suono cristallino, candido e vibrante che riecheggiò per tutta la vallata. Ma a parte questo non successe un ben nulla.
Quando l’indomani parlai con padre Ercole, protestai. Gli dissi quello che era successo e soprattutto quello che non era accaduto.
“Ma per forza! Non ci credi! Come fa a funzionare? Se il tuo Angelo custode venisse vicino a te, non te ne accorgeresti neppure!”
“E allora che devo fare?” domandai sconsolato.
“Niente… lascia fare alla piccola Haamiah. Verrà il giorno che cambierai idea, da solo.”
Da allora passarono diverse settimane.
Poi, una domenica, mi ritrovai di nuovo, a mezzogiorno, sulla terrazza. Si era alzato un forte vento gelido che veniva da nord. Erano folate improvvise e potenti tanto che dovettiriposizionare due tegole marsigliesi che si erano spostate. Ma, mentre stavo facendo questa semplice operazione, ebbi come la sensazione che attorno a me mancasse qualcosa. Non era un particolare del paesaggio, incantevole come sempre pur sotto il grigiore del temporale imminente. Non erano i pescatori che, imperterriti, calavano le loro lenze nel torrente in mezzo alla valle, non erano neppure le rondini che solcavano stridenti, come impazzite, il cielo gravido dell’odor di pioggia.
Ma sì la piccola Haamiah! Perché non suona con questo vento? Mi domandai.
Mi avvicinai alla campanella che dondolava vistosamente da una parte all’altra del suo sostegno. Accidenti ho perso il batacchio! Pensai.
Invece no, vidi che il batacchio era lì, ben saldo e al suo posto. Fermai allora la campana con la mano sinistra e tirai la catenella con la destra. Un suono dolcissimo, come proveniente da dietro di me, mi inondò le orecchie stordendomi. Lasciai andare la catenella e subito la piccola Haamiah, tacendo di colpo, riprese a dondolare paurosamente sotto le bordate violente del vento.
Forse mi ero sbagliato. Avevo le allucinazioni uditive! Pensai.
Ripetei i gesti di prima. Fermai di nuovo la campana e tirai la catenella. E ancora una volta quel suono mi trapassò l’anima.
Mi venne all’improvviso voglia di piangere: quella campana non suonava a caso, no, suonava solo per un motivo.
E allora mi guardai attorno per veder se scorgevo il mio Angelo custode.

18 pensieri su “La piccola Haamiah

  1. Il tuo racconto e’ veramente toccante: la musica delle campane ha fatto vibrare la mia anima. Pensi che il padre Ercole darebbe anche a me una piccola HAAMIAH? In ogni caso da te ho imparato a vedere oltre le cose propri concrete. A presto. Ciao! RIC, giovanissimo amico di famiglia di harmonia

  2. Troppo incantevole …tutto questo….. come lo squillo argentino della tua campanella!Chissà come sarà stato contento il tuo angelo custode ,…. il suo sorriso è giunto fino a me invadendomi l’anima, e chissà ,che scampanio ci sarebbe se tutti ricorressimo al nostro angelo custode , che specialmente in questi tempi avrebbe molto da ..lavorare..

  3. mi fai tornare bambino, quando andavo con mio nonno a suonar le campane della chiesa nel mio quartiere…. quanto amavo essere irato su dal peso del bilancere… Grazie Briciola!
    Un saluto al mio nonnino che sicuramente è il mio angelo custode!

  4. Il mio angelo custode è uscito a comprare le sigarette e non è più tornato… A me le campane fan tanta malinconia, segnano sempre momenti forti, ti fanno crescere anche se non vuoi.

  5. Delicatissimo come una carrezza, intenso, come il profumo del pane, fresco, come l’acqua di sorgente. Che altro posso dirti se non passa una felice serata. Percival

  6. Nelle campane ci sono anche i suoni del passato, come registrati.. ma mostrati in sequenze nuove e diverse. Le vere campane, intendo. Il tuo racconto è incantevole. Per gli angeli, poi, evocati o no che siano dai trilli, ho un debole! 🙂

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