Limbo

“Che ti è successo?” chiesi a Oreste che, scuro in volto, si stava servendo un whisky.
“E’ che comincio a essere preoccupato. Seriamente. Temo che ci siano delle ‘presenze’ qui dentro.”
Mi trovavo, ovviamente, al bar del Cinghiale, a Lughi, davanti al proprietario/oste/barman Oreste, uno delle istituzioni del paese. Vederlo versarsi un superalcolico a quell’ora del mattino mi fece comprendere la gravità della situazione.
“Se alludi alla lampada dell’altro giorno che non si accende quando ci sei tu o che si accende quando te ne vai, mi sembra un po’ una stupidaggine e un’esagerazione…”
“Macché, fosse solo per quello! Sono sempre successi strani fenomeni, fin dal primo giorno che ho aperto il locale, per carità, non ci ho badato più di tanto, ma adesso queste manifestazioni sono sempre più frequenti e serie. L’altro giorno, per esempio, ho trovato birra dappertutto: sul pavimento, sul bancone, finanche sul soffitto. Sembrava che fosse esplosa la macchina della birra alla spina.”
“Va beh, Oreste, si sarà inceppata, queste cose a volte succedono, non devi certo scomodare fantasmi o presenze sovrannaturali.”
“Il problema è che non si è inceppato un bel niente! La macchina della birra, al momento in cui mi si è allagato mezzo bar, era completamente vuota, tanto che ero sceso in cantina a portare il fusto vecchio e a prenderne uno pieno. Capisci? Come faceva ad esserci birra ovunque se il fustello ce l’avevo io?”
Non seppi che rispondere.
“E poi, ora, si è pure aggiunto quello che è successo stamattina presto!”
“E cioè?”
“Su questo specchio qui, scritto sulla fuliggine comparsa chissà da dove, c’era la parola: “VATTENE!. Hai capito? Vattene, a me, che ho dato tutto per questo posto!”
“Ma non preoccuparti! E’ evidente che si è trattato di uno scherzo. Hai idea di quante persone si saranno divertite a farti questa burla?”
“E secondo te, per divertirsi, avrebbero scritto la parola in aramaico?”
“In aramaico? E a te chi l’ha detto?”
“Pietro, l’archivista, sai che lui ha l’hobby dello studio di tutte quelle lingue un po’ strambe…”
“Gìà” interruppe Pietro, seduto ad un tavolino dietro di me, la cui presenza mi era sfuggita completamente “oltretutto la lingua un po’ stramba, in questo caso, è l’aramaico antico e dubito che qualcuno in paese la conosca.”
“Capisci ora in che guaio mi trovo?”
A questo punto rimasi senza parole. La situazione mi sembrava paradossale. E non si mai cosa dire in questi casi. Ma azzardai:
“Forse fra qualche giorno questi strani fenomeni passeranno e tutto tornerà come prima…”
“Potrebbe non essere così…” se ne uscì impietoso Pietro aggiustandosi gli occhiali tartarugati sul naso “perché, vedete, il bar è stato costruito su di un cimitero di bambini ebrei trucidati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. C’era un ghetto verso valle, prima della strettoia, e un giorno, per rappresaglia nei confronti dei partigiani che avevano messo una bomba uccidendo tre soldati tedeschi, hanno rastrellato una decina di bambini ebrei, fucilandoli su questa piazzetta. Per questo motivo, il luogo dove li hanno seppelliti, che poi è proprio qui sotto, lo hanno chiamato ‘Il Limbo’ ”.
“E adesso che faccio?” mi chiese Oreste con due lacrimoni che gli pesavano ondeggianti agli angoli degli occhi.
“Non so… fai dire una messa… fai benedire questo posto a don Remo, magari qualcosa cambia…”
“Oltre tutto…” si sfogò lui scrollando la testa e seguendo il filo dei suoi pensieri “…se si sparge la voce in paese, finirà che qui dentro non ci entrerà più nessuno!”
Non l’avevo mai visto disperato in quel modo.
“Ma sì, hai ragione” sbottò, lui, risvegliandosi dal torpore soporoso di chissà quanti whisky “farò così, come mi suggerisci tu: farò benedire il locale e anche dire una messa in suffragio di quei poveri innocenti, da ripetere, magari tutti gli anni, il giorno dell’eccidio e poi… poi… metterò un bel candelabro a sette braccia, un menorah, proprio qui sul bancone. In fondo questa terra è più la loro che la mia.”
Promise tutto questo con un senso di liberazione, tanto che alla fine sorrise.
Noi rimanemmo, invece, in silenzio senza togliergli però lo sguardo di dosso.
E la lampada che aveva sul bancone si accese.

14 pensieri su “Limbo

  1. Grazie ancora per le bellissime vignette che mi hai regalato per il mio blog. Però, senti un po’, Briciola, mi sta venendo un dubbio atroce, leggendo tutti questi post femminili affettuosi: ma non è che per caso tu hai aperto questo Blog per attirare qui schiere di donzelle adoranti utilizzando come esca le tue doti creative e per farle cadere nella trappola di un astuto BLOG-Casanova? ;-))

  2. Volendoti far girare la palle potrei dirti: minchia un libro tuo lo comprerei più volentieri che so, di Andrea de Carlo a anche di Guccini che pure un po’ ci assomigli. Ma visto che mi sei una briciola simpatica non ti dico niente che di questi tempi mica si sa dove si va a finire.

  3. Mio impagabile amico, sei tornato con la tua penna bagnata di ironia a farci sorridere. Debbo anche dire che aver scoperto la tua vena romantica mi ha fatto molto piacere. Briciola a tutto tondo: a poco a poco ti sveli. Buona serata. Percival

  4. ciao briciolo 🙂 grazie della visita e… anche oggi ti stampo, come gardenia, e ti leggo in tram 😉 siete grandi. mi promettete che, appena mi decidoa mettere nel mio blog qualcosa di più delle solite sciocchezze, mi leggerete e mi direte la vostra? salutoni

  5. Aspetto i tuoi “bozetti” come un premio della giornata. Oggi il tuo blog faticava ad aprirsi, e pensavo: «Non saranno mica arrivati fin qui i “persecutori” di Oreste?» Fortunatamente, eccomi a leggerti con l’ammirazione di sempre, Gardenia.

Lasciami un tuo pensiero