San Manezio

Era la fine di febbraio dell’anno scorso quando scoprii l’esistenza della chiesetta di San Manezio. Si sale per il viottolo sassoso che s’inerpica dall’Osteria del Bove, a Bunsi; ti fai portare così, a spasso, per un po’ verso valle, per un po’ verso monte ed ecco che, quando già pensi che il sentiero ti abbia abbandonato a bell’apposta, lì, sul crinale, ti appare la chiesetta seminascosta da una enorme farnia che sembra divertirsi a coprirne la sagoma.
Quel giorno non pensavo che sarei finito per entrare. Poi vidi che la porta in legno era aperta. Un invito discreto, senza tante formalità. E i miei passi presero quella direzione. Sulla porticina, mi accolse la flagranza di un mazzetto di mughetti appoggiato alla piccola grata in ferro battuto; qualcuno aveva anche inciso un cuore grande grande con le iniziali di un amore forse perduto. Spinsi la porta che si aprì piano, come a dischiudere un segreto. L’interno era spoglio, essenziale: qualche seggiola qua e là, senza nessun ordine. L’aria proveniente dalle mie spalle s’intrufolava a refoli in una finestrella anch’essa di legno poco distante dall’altare. Camminai con il naso all’insù, come si fa in questi casi: alle pareti, in alto, una minuscola via crucis a incoronare il perimetro interno; in una nicchia, una statua di legno di San Francesco benedicente a dar ombra a qualche ex voto intrappolato su passepartout di velluto.
Poi la mia attenzione fu attirata dall’altare, un tavolo squadrato e asciutto, troppo grande per la modesta abside, ma tutto coperto da una tovaglia di lino ricamata: quasi nell’angolo, erano stati posati, con la massima cura, due guantini bianchi  predisposti in obliquo a formare delle mani giunte un sona­glietto di metallo grigio, un fiocco azzurro. Era la rappresentazione di un dolore, in pochi centimetri quadrati. Il cero che presidiava quegli oggetti ancora fumava, la corrente d’aria doveva averlo spento. Avevo cominciato a trattenere il respiro, ma ancora non me ne ero accorto. So solo di aver preso un’altra candela accesa per comunicare la fiamma allo stoppino annerito; la fiammella illuminò indecisa una piccola foto, appena dietro, bordata di nero che raffigurava un papà e un bambino entrambi sorridenti. Mi ricordo anche di esser uscito poco dopo con due lacrime pesanti e fredde che proprio non ne volevano sapere di cadere giù.

7 pensieri su “San Manezio

  1. diavolo, ma mi devi spezzare il cuore tutte le volte?
    tutte tutte? io sono una povera mamma, cavolo! il cuore mi serve! finirò per essere abbastanza vigliacca da non tornarci più e la notte avrò gli incubi :-(((

  2. Briciola, è sempre un piacere leggerti. Srotoli il tuo racconto con grazia, ne detti il ritmo, avvinci, trasmetti emozioni ( o ironia in altri casi) non sei banale e non vai mai sopra le righe. Scrivi molto bene. Chapeau. Percival

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