La svolta (seconda parte)

[RIASSUNTO del post precedente: Tiffany Parker riunisce in un bar 
malfamato di Madison tutti i personaggi che (come lei) sono stati 
creati dalla talentuosa penna del best-seller Mark Turner, preoccupata 
per il fatto che lo Scrittore, entrato in depressione e nel tunnel 
delle dipendenze da alcol e droga, non scriva più. Tiffany propone 
allora al gruppo di far pervenire a Turner la trama inventata da lei 
e dal suo fido aiutante di origini coreann-american John Xi Jung]. 
--> leggi La svolta (prima parte).

Avuta l’attenzione di tutti, Tiffany iniziò a spiegare la trama nei minimi particolari. La espose in modo fluente e accattivante, con improvvise accelerazioni e pause sapienti, cambiando le voci e gesticolando nei momenti giusti. Dopo che ebbe finito, gli astanti rimasero ammutoliti.
«Ma è bellissimo!» fece “Mortimer” Riverstone dimenticando di essere un uomo triste e silenzioso; esagerò persino, accennando a un timido applauso.
«Altro che bellissimo» fece il Commissario Paul J. Harper, «è…è geniale! Altroché. Quasi meglio degli altri tre romanzi.»
«Sì, niente male… roba forte… bisogna ammetterlo» convenne “Billo” che diede una tirata nervosa al suo profumato Cohiba. «Anche se non mi sembra che io faccia granché in questo nuovo libro. Tuttavia, con qualche ritocco…»
L’atmosfera si era rilassata all’improvviso; ora i cinque ridevano e scherzavano come vecchi amici. Anche se “Billo” rimaneva a debita distanza dal Commissario, Xi Jung da “Billo” e Riverstone un po’ da tutti, essendosi di nuovo richiuso in sé stesso come in un sarcofago virtuale. Avevano realizzato, in altri termini, che le preoccupazioni di quegli ultimi anni forse potevano magicamente trovare una brillante soluzione.
«Sì, ma non abbiamo ancora pensato a come far pervenire la trama allo Scrittore» obbiettò d’un tratto Harper, le cui parole ebbero l’effetto di una doccia fredda. Ritornò il malumore, questa volta cupo e greve, come una nevicata sovrabbondante in piena estate.
«È anche per questo che ho voluto convocare questa riunione…» disse Tiffany fiduciosa. «La barriera tra Immaginario dove viviamo e la Realtà dove vive Lui parrebbe insuperabile. Ma sono certa che ci deve pur essere un modo per far passare una informazione. È possibile che non sappiamo trovarlo?»
In quel mentre entrò Bob, il Barista. Aveva un sorriso incerto sulla faccia. «Porto qualcosa?» disse poco convinto, come se sapesse già la risposta.
«NOOOOO!» fecero tutti pressoché in coro, seccati di essere stati disturbati.
«Sì, infatti, perché mai dovreste occupare la sala più bella del locale consumando una banale bevanda che mi compenserebbe in parte degli elevati costi…?» fece ironico Bob riprendendo la strada dell’uscita.
«Potremmo fare una seduta spiritica…» azzardò “Billo” che parve serio nel pronunciare questa frase.
«Ma non è mica morto!» sbottò Riverstone che, affacciandosi appena dal suo sarcofago come una civetta dall’incavo di un tronco, non aveva resistito dal rimarcare un’ovvietà simile. Lui i morti li conosceva bene.
Si sentì di nuovo aprire la porta della sala.
«Vogliamo solo stare in pace, Bob, per cortesia…» se ne uscì Tiffany girandosi.
Non era Bob.
«L’idea del gangster qui, non è del tutto sbagliata…» si sentì dire. Era appena entrato un ragazzo sovrappeso, vistosamente claudicante, un viso cordiale e appiccicoso; si era fermato sulla soglia della sala con un’aria tra l’interrogativo e il provocatorio.
«Gangster a chi?» fece “Billo” facendo qualche passo in avanti puntando il sigaro verso il ragazzo come fosse una pistola.
Il Commissario, in modo autorevole, alzò una mano nella sua direzione. E anche se il Malavitoso era lontano da lui diversi metri sembrò essere stato toccato perché si arrestò di colpo. Poi Harper, strizzando un occhio come faceva durante gli interrogatori giù alla Centrale, chiese:
«“Suckme”… ma che ci fai qui?»
«Sono qui per la stessa ragione per cui ci siete voi…» disse facendo spallucce e facendo vedere i palmi aperti delle mani che luccicavano di sudore.
«Ma come facevi a sapere che ci eravamo riuniti per discutere del Sig. Turner?» gli domandò Xi Jung che non riusciva ad accavallare le gambe corte, nonostante i reiterati sforzi.
«L’Information Technology ha fatto passi da giganti, miei cari, anche al di qua del nostro Mondo … Nulla ormai mi sfugge». La sua maglietta della salute, indossata stoicamente nonostante il fresco pungente della giornata, mostrava la scritta “Il Grande Fratello mi fa una pippa”.
«Maledetto hacker…» sibilò “Billo” rientrando nel cono d’ombra.
«Hai avuto una piccolissima parte in “La Morte vien cantando”, il primo libro di Turner…» gli fece notare Tiffany inarcando le belle sopracciglia «e poi lo Scrittore non ti ha più coinvolto negli altri romanzi…»
«Appunto, sono un personaggio che però ‘buca’, a dar retta ai lettori che hanno sempre ragione… e sarebbe ora che il sig. Turner si ricordasse anche di me, non trovate? … Sicché, ho pensato che con aiutino…» fece “Suckme” con una strana luce negli occhi.
«Sì, ma in che senso non è un’idea del tutto sbagliata?» insistette a interrogarlo il Commissario il quale, voltandosi verso il ragazzo per vederlo meglio in viso, con una delle sue proverbiali monumentali scarpe pestò un piede a “Mortimer” Riverstone. L’Anatomopatologo si esibì a quel punto in un urlo che, in linea con il suo personaggio grigio e riservato, nessuno udì.

La terza e ultima parte domenica prossima --> La svolta (terza e 
ultima parte) 

La svolta (prima parte)

Tiffany Parker entrò nel locale a passo sostenuto, come se fosse in ritardo. Ma non lo era. Dietro di lei trotterellava serio e impassibile il fido aiutante John Xi Jung, coreann-american. Solo Tiffany fece un cenno di saluto al Barman mentre, di passaggio davanti al lungo bancone, si dirigevano entrambi nella sala ‘dietro’, quella del biliardo.
«Pensi che verranno?» le chiese Xi Jung constatando, nell’entrare, che la sala era vuota.
«Certo che verranno!» fece Tiffany con un tono di voce che faceva pensare esattamente al contrario.
«Io, in realtà, sono già qui…» disse Frank “Billo” Roof, dopo un po’, uscendo da un cono d’ombra. Si sentì soddisfatto per l’effetto che la sua comparsa inaspettata ebbe sui due. «Sono arrivato da qualche minuto» precisò guardando con particolare interesse la parte accesa del suo costoso sigaro dopo che lo aveva appena allontanato dalle labbra spesse.
«Hai invitato anche lui?» chiese stupito Xi Jung.
«Certo che ha invitato anche me. Sono forse troppo ‘cattivone’ per te, musetto giallo?» fece irridente il Malavitoso infilando una mano nella tasca di una giacca da duemila dollari. «Non vuoi dividere il tuo problemino con… come mi chiamasti una volta? Ah sì… con “un aborto di fogna”?
«State bravi tutti e due, siamo qui per una questione piuttosto importante…» esortò la donna. «E dobbiamo collaborare.»
«Hai sentito, ometto?» fece sprezzante “Billo” parlando ancora all’aiutante di Tiffany «dobbiamo collaborare!» e disegnò nell’aria delle virgolette.
«Certo che dobbiamo collaborare!» disse il Commissario Paul J. Harper entrando in quel momento in sala con l’Anatomopatologo Stu Riverstone, detto il “Mortimer”. «Dobbiamo mettere da parte le nostre passate… come dire… incomprensioni, e darci da fare.»
Tiffany annuì e prese posto sul divano seguita in questo da Xi Jung che ancora guardava di traverso “Billo”.
«E, ovviamente, dopo aver raggiunto una intesa…» fece il Commissario con uno strano sorriso obliquo sulla faccia «ti arresterò per la rapina al Francis Capitol Hotel di un mese fa…» disse guardando “Billo” che, sbuffando, rientrò nel cono d’ombra della stanza. Xi Jung sorrise soddisfatto. Anche Harper e Riverstone a quel punto si sedettero.
«Ora che ci siamo tutti, volevo riprendere il discorso di cui vi avevo fatto cenno qualche giorno fa per telefono. Lo Scrittore Mark Turner, come sapete, ha smesso da tempo di scrivere. Dopo tre best-seller, grazie ai quali siamo diventati famosi anche per la serie televisiva che ne hanno tratto… non è seguito più nulla. E ormai sono cinque anni.»
«L’attore che mi impersona non mi assomiglia per niente…» si intromise a quel punto “Billo”.
«…dicevo…» continuò Tiffany alzando la voce «… il sig. Turner ha smesso da tempo di scrivere entrando così in una grave depressione che gli ha alienato amicizie e appoggi influenti nel giro grosso, anche perché ha iniziato pesantemente a bere e a farsi. È stato arrestato un paio di volte per disturbo della quiete pubblica e anche per danneggiamento di un ristorante. A volte la fama e i soldi, per chi ha avuto una vita “difficile”, come lo ha avuta Lui, fanno questo scherzo…»
«Anche a me, all’inizio della mia carriera, far soldi facili mi ha molto turbato, ma poi ho comprato una Rolls gialla e mi è passata…» fece “Billo” ridendo sguaiatamente. Quando si accorse però che aveva riso solo lui si azzittì di colpo. La stanza si riempì di nuovo di un silenzio teso, tanto da poter avvertire i rumori lontani provenienti dal bar oltre la porta chiusa. Tiffany sospirò con forza per poi continuare.
«Noi tutti, come Personaggi, non possiamo consentire di finire nel dimenticatoio in questo modo. Almeno io e John non ci riusciamo, non so voi. Non senza lottare. Siamo riusciti a fatica a guadagnarci il rispetto e l’ammirazione del pubblico in un ambiente, come quello dei romanzi gialli, dove è molto difficile farsi strada, come sapete… Insomma: vorremmo mantenere il nostro status quo.»
«Sì, ben detto» convenirono gli altri.
«L’idea è allora quella di far giungere in qualche modo allo Scrittore, il ‘nostro’ Scrittore, una trama con i fiocchi come suggerimento per un nuovo libro. Se Lui ha il blocco dello scrittore, noi gli passeremo degli spunti e anche qualcosa di più. Lui poi farà il resto. Questo, prima che si autodistrugga con alcol e droghe. In fondo se siamo diventati quello che siamo oggi, lo dobbiamo solo alla Sua penna.»
«E dove la troviamo una trama del livello degli altri tre libri?» fece l’Anatomopatologo Stu Riverstone rompendo finalmente il suo mutismo.
«Io e John…» principiò Tiffany che aspettava quella domanda.
«Cioè l’ometto giallo…» masticò tra i denti “Billo”.
«Io e John…» ripeté Tiffany, dando un’occhiataccia al Malavitoso, «è un po’ che ci stiamo pensando e avremmo trovato queste idee che vorremmo sottoporvi.»

la seconda parte domenica prossima --> La svolta (seconda parte)

Di cuoio e sangue

cuioioLuca osservava il gatto come se potesse suggerirgli come proseguire. Il certosino, sentendosi osservato, aveva aperto gli occhi color ambra, grossi come due fari antinebbia, e, dopo essersi accertato che il mondo se la sarebbe potuta cavare anche senza di lui, si distese in una posizione improbabile e si riaddormentò.
L’uomo continuava a guardare il cursore che lampeggiava ipnotico sul display: il capitolo settimo si rivelava più impegnativo del previsto. La trama complessiva l’aveva bene in mente, anche i personaggi erano sul tavolo, persino quelli secondari, sebbene non tutti. Dopo un inizio fulmineo e un incipit strepitoso ora però si trovava inchiodato come una staccionata di un pascolo dismesso: doveva raccordare la prima parte al momento in cui la storia diventava più densa e, soprattutto, doveva mettere sulla strada dell’investigatore un indizio apparentemente insignificante, ma utile alle indagini; gli venivano in mente però solo idee banali e già sfruttate e la scena che stava curando, inoltre, aveva la consistenza di una maionese impazzita. La cosa più preoccupante era che la scaletta dei tempi per la prima stesura era già saltata e la fiducia di arrivare in fondo con successo si stava sfaldando giorno dopo giorno.
Si alzò dalla scrivania prendendo a camminare per la stanza come faceva di solito quando voleva ritrovare la concentrazione. Dopo qualche minuto, arrivò alla conclusione che doveva distrarsi. Il gatto lo sorvegliava sotto le palpebre socchiuse; quando lo vedeva comportarsi in quel modo lo trovava proprio buffo, sicché decise di lasciarlo fare e di rimanere sdraiato dov’era. In fondo, mancava un’ora buona ai croccantini della sera.
Luca scese allora alla libreria sotto casa. Respirare l’aria della carta stampata aveva sempre un buon effetto sul suo umore e, magari, avrebbe potuto comprare anche qualche buon libro. Nella sezione novità vide che era uscito l’ultimo lavoro del suo scrittore di gialli preferito. Lo sfogliò qua e là. Quello sì che era scrivere! Dopo tanti bestsellers, la prosa era ancora fresca, il linguaggio preciso, la capacità descrittiva intatta. Anche la trama era interessante e originale. Posò il tomo di più di seicento pagine provando ammirazione mista a invidia. A giudicare poi da tutti quegli altri libri accatastati davanti a lui, c’era evidentemente chi non sapeva neppure cosa fosse il blocco dello scrittore. Gli stava venendo il nervoso. Non era stata una buona idea, dopo tutto, entrare lì dentro. ‘Di cuoio e sangue’, lesse su una copertina mentre stava andando via. Bel titolo! Perché non era venuto in mente a lui? Sarebbe stato perfetto per il suo thriller. Anche la copertina non era affatto male. Una foto accattivante, semplice, ma accattivante. Sarebbe stata l’ideale anche quella. Il libro era di un certo ‘Mister Parker’. Strano, pensò, anche il mio gatto si chiama così e gli venne da sorridere. Scorse qualche pagina e impallidì. Era la sua storia, parola per parola. Scritta molto meglio di quello che fino a quel momento aveva potuto fare: ma non c’era dubbio, era la sua storia. Anche i personaggi erano gli stessi e la trama identica. Andò al capitolo settimo dove si era fermato poco prima seduto alla sua scrivania e lesse il seguito. Ma sì, certo, come aveva fatto a non pensarci? Era quella la soluzione giusta e geniale! Come aveva fatto questo tizio a copiargli il manoscritto, proprio mentre lo stava scrivendo? Diede un’occhiata alle note biografiche dell’Autore. Mister Parker era ovviamente uno pseudonimo, ma tutte le indicazioni riportavano a lui: anno di nascita, età, scuole, hobby, persino i (pochi) premi letterari vinti. Mister Parker era lui! Ma cosa stava succedendo?
Tornato a casa, sotto lo sguardo accondiscendente del certosino, lesse il libro tutto d’un fiato. Le sue idee c’erano tutte. Sembrava il ‘suo’ libro sei mesi dopo, con tanto di editing raffinato. Gli batteva forte il cuore. Non è che questa è una di quelle vicende che, come nei film peggiori, alla fine, suonerà alla porta il diavolo che in cambio del libro vorrà la mia anima? Si domandò inquieto. Non sto sognando, pensò, ne sono sicuro; ho questo maledetto blocco da settimane e ora ho la possibilità di copiare da me stesso. Non è possibile! Cosa c’è sotto? Ci rifletté sopra. A pensarci bene, anche se avesse voluto, non sarebbe stato più in grado di tornare indietro: era già debitore di chi gli aveva fatto trovare il ‘suo’ libro. Era in trappola. Grazie a quella lettura, poteva con facilità continuare a scrivere spedito tutto il resto del romanzo. Ma sì, pensò, che male ci potrà mai essere? Non è forse già scritto da me? Tanto valeva approfittarne. Il libro era stupendo, ne sarebbe uscito un capolavoro che lo avrebbe definitivamente imposto sulla scena letteraria. E poi quella era l’unica copia che aveva visto in libreria. Com’era capitata lì non era affar suo. Al resto ci avrebbe pensato poi. L’importante era che il libro fosse saldamente nelle sue mani e che potesse concludere il lavoro nei tempi previsti.
Si mise alla scrivania e non fece altro che ricopiare al computer il testo del ‘suo’ libro. Gli sembrava di fare qualcosa di disonesto anche se trovava paradossale copiare da se stesso e sentirsi nel contempo in colpa.
Stava ‘scrivendo’ febbrilmente il ventesimo capitolo quando sentì suonare alla porta. Il gatto fece un salto dallo spavento e si mise a soffiare in direzione dell’ingresso. Luca capì che non era di buon auspicio. In preda a un pessimo presentimento andò ad aprire. Nel quadro della porta apparve un uomo vestito di scuro, né giovane né vecchio, gli occhiali a specchio che gli coprivano il volto insieme a una folta barba nera e una sigaretta accesa penzolante all’angolo della bocca.
«Sono qui per il libro» disse in modo secco senza tanti preamboli.
Ecco, ci siamo, pensò Luca. «Libro? Quale libro?» provò a mentire.
«Non faccia il furbo: il libro di Mister Parker, quello che ha preso in negozio…» disse l’uomo in scuro con un mezzo sorriso storto: la cenere gli cadde per terra.
«Ah, quello…»
«Si proprio quello… »
Luca si guardò in giro, impacciato, non sapeva che dire. Poi, fece un lungo respiro e, pronto a tutto, disse in modo grave: «Va bene, ha vinto lei. Cosa devo fare?»
«Se ne è andato senza pagarlo. Lei è un buon cliente della libreria e il principale sa quanto lei sia distratto. Mi hanno mandato su a dirglielo. Se potesse per cortesia passare in negozio per regolare…»

Il racconto

Paolo aveva cominciato il racconto almeno una decina di volte. Ma l’incipit non era quello giusto, gli aggettivi incespicavano sugli avverbi e le frasi sembravano non finire mai. No, quello non era il suo stile, non si riconosceva. E poi mancava completamente la trama. Ciò che aveva in mente era troppo complicato o futuristico e non sarebbe piaciuto. ‘Rimani aderente alla realtà’ gli era stato raccomandato. Ma non ci riusciva. Gli venivano in mente solo soluzioni fantastiche, oniriche, surreali. La verità è che non aveva idee, il caldo gli aveva svuotato il cervello. E poi c’era il fischio di quel maledetto condizionatore che il vicino aveva piazzato sul tetto proprio nella sua direzione. Come era possibile avere un po’ di concentrazione? Il telefono oltretutto squillava di continuo: era il suo editore che reclamava giustamente un racconto che avrebbe dovuto già trovarsi sul tavolo dell’editor da almeno una settimana. Non voleva parlargli: che nuova scusa avrebbe potuto mai inventare? Cancellò per l’ennesima volta tutta la pagina e ricominciò daccapo. Avvertiva solo una gran rabbia montare dentro di sé: per la sua inefficienza, per la sua incapacità di essere concreto. Il telefono squillò di nuovo a pochi centimetri da lui: serrò le mascelle.
‘Dunque, dunque…’ fece mordendosi le labbra e agitando nel vuoto le dita sopra la tastiera. ‘Un uomo cammina per la strada quando viene avvicinato da una donna anziana… no, forse è meglio da una donna… ma cosa sto scrivendo? Un uomo e una donna…? No, no è troppo banale, così non funziona… ecco sì un uomo e una bambina che in cambio di pochi spiccioli, gli legge la mano rivelandogli che un giorno l’uomo ucciderà quella stessa bambina perché… perché… già perché?’ fece Paolo guardando il quadro davanti a sé come se potesse rispondergli. In quel mentre risquillò il telefono. L’uomo sopra pensiero alzò la cornetta più per farla tacere che per rispondere.
«Ciao» si sentì mormorare dall’altra parte.
Era la voce di lei. Aveva aspettato quella telefonata per cinque anni. Aveva sognato, bramato che lei lo chiamasse. L’aveva odiata per quello che gli aveva fatto, ma l’aveva anche amata perdutamente. Anche se se n’era andata ad un certo punto con quell’altro, aveva sempre sperato di vederla comparire sulla soglia di casa con quel suo sorriso dolcissimo.
«Ti disturbo?» fece ancora lei dolce come se la tenerezza fra loro non fosse mai svanita. «Ti posso parlare?» chiese lei quasi supplichevole. Il cuore di Paolo batteva all’impazzata. Sospirò. Poi, senza un’ombra di esitazione, disse:
«No» e riattaccò. Si mise quindi al computer e finì il racconto senza più fermarsi.