Un hotel a cinque stelle

Non aveva fatto in tempo a uscire dall’ascensore che uno strofinaccio da cucina, bagnato e sporco, gli si appiattì sulla faccia per poi scendergli lentamente sul gilè per lanciarsi infine dalla pancia sulle scarpe di camoscio.
«È questa l’ora di presentarsi?» lo investì un energumeno vestito di bianco brandendo una grossa spumarola.
«Ma io, veramente…» fece l’altro allargando le braccia come se si volesse scusare.
«Mettiti questo…» insistette il tipo arcigno sbattendogli tra le mani un grembiule e indicandogli un vascone enorme che debordava di piatti, pentole e padelle unte. Con la faccia ancora bagnata e un vago sapore di baccalà in umido in bocca, l’uomo obbedì senza fiatare. Stava considerando che la serata non era iniziata granché bene, quando entrò nell’ampia cucina una donna in vestito lungo, ingioiellata sino agli alluci, che si guardava in giro preoccupata come se avesse perso qualcosa.
«GEEEOORGE!» urlò lei «cosa fai lì!?!» E squadrò impietosa il marito in maniche di giacca che dava di spugna e sapone liquido.
«Non so, cara» tentò di giustificarsi lui. «Quel signore sembrava tenerci così tanto che lo aiutassi a lavare i piatti…»
«Ma ti stai sporcando tutto!» gli disse prendendolo per una manica e rivolgendoselo a sé come si fa con un bambino cui si vuole dare uno scappellotto. Il marito, dalla faccia larga a cocomero, aveva la schiuma dei piatti persino tra i radi capelli mentre gli schizzi di pappardelle al sugo di lepre lo avevano macchiettato un po’ dappertutto come un leopardo obeso. «E cosa direbbero i tuoi amici del circolo di golf se ti vedessero? Eh?!? Cosa direbbero di un miliardario che fa lo sguattero! Sei ridicolo! Mi sentiranno quelli dell’albergo, ah se mi sentiranno!»
«Certo, cara…» fece lui seguendo docilmente la moglie che lo stava trascinando per il gilè. «Come voi tu, cara».
La donna, dopo aver spedito il marito in camera a cambiarsi, senza scomporre l’acconciatura frutto di una lunga ed estenuante sessione pomeridiana dal parrucchiere, si avventò sul concierge.
«È inaudito, inconcepibile, inammissibile!» esordì la donna puntando con il dito, gravato da un topazio grosso come un’albicocca matura, il naso del ragazzo.
«Prego, signora?»
«Mio marito, il mio consorte!» e si bloccò sopraffatta dalle mille parole che le si affollavano in gola. «Le sto dicendo che mio marito, il cavcommgranduff Cammillo Maria Barrister è stato brutalmente maltrattato. Lo hanno umiliato, mortificato, persino spadellato…»
«Guardi, signora, non si lamenti con me, io sono solo un lavapiatti».
«Un… un…» la donna era così arrabbiata che non riusciva neppure a ripeterlo. «Un lavapiatti? Ma cosa dice?»
«Sì, questa mattina ci deve essere stato un disguido nell’organizzazione dell’albergo… insomma mi hanno messo qui dietro, non le so dire il perché… comunque provi a parlare con il portiere».
«E dove lo trovo?» domandò la donna volgendosi attorno come un mastino napoletano avrebbe potuto fare con un osso da spolpare.
«È vicino all’ascensore, quello laggiù in fondo».
Quando il portiere vide la donna arrivare al trotto sostenuto, l’accolse con un largo sorriso esibendosi in un inchino esagerato: temeva il peggio.
«Signora Barrister! Come sta? È un vero piacere ammirarla. Lei è particolarmente radiosa, questa sera» le disse quando ancora la donna si trovava a qualche metro di distanza. La signora, oramai di una certa età, rimase spiazzata dal complimento, sensibile com’era alle lusinghe, e, prima ancora che potesse riprendere fiato, il concierge sferrò l’attacco frontale: «So benissimo cosa sta per dirmi. Sono stato già informato dell’increscioso incidente. Sono davvero costernato e a nome della Direzione dell’Hotel porgo a Lei e a suo marito le mie più sentite e deferenti scuse. Questo ascensore è più piccolo degli altri ed è in realtà di ‘servizio’; la clientela però lo usa ugualmente per spostarsi da un piano all’altro perché spesso è libero. È un ascensore particolare, vede, perché dotato di una doppia apertura. Come può gentilmente osservare…» e l’uomo con eleganza ruotò di poco il busto come se mostrasse un suo capolavoro «una dà su questa parte della hall e l’altra, per il tramite di una chiave da inserire nella pulsantiera, quella lì, consente l’accesso alle cucine. Purtroppo questa mattina ci deve essere stato un qualche contatto elettrico nell’impianto e le doppie porte si sono messe a fare le bizze; così quando è sceso suo marito, la porta, anziché aprirsi senza chiave da questa parte, si è spalancata malauguratamente dall’altra e lui si è trovato, suo malgrado, nelle cucine. Da qui è nato l’equivoco…»
«Ma cosa vuole che mi importino questi dettagli tecnici!» fece la donna con cipiglio leonino stroncando il sorrisino bonario del portiere. «Mio marito ha subito un affronto, una sgarberia, un attentato alla sua onorabilità e…»
«E ovviamente…» sgattaiolò l’altro da abile negoziatore «questa sera la cena che avete prenotato nella sala cobalto è completamente a spese dell’albergo. Saranno serviti, apposta per voi, alla carta, caviale, ostriche e Krug millesimato a volontà secondo i vostri desideri».
A questo punto la donna si azzittì di colpo. Tutti gli argomenti che aveva voglia di rinfacciare le si erano confusi nella mente.
«Beh, sì in fondo non è accaduto nulla di irrimediabile…» accondiscese la donna cominciando a retrocedere.
«Ne sono certo signora, mi saluti tanto suo marito. E scusi ancora».
Di lì a poco George scese con un completo fresco di sartoria. Era elegantissimo.
«Gliene ho dette quattro, sai?» lo ragguagliò la moglie prendendolo sotto braccio e alzando il naso rifatto in segno di vittoria.
«Certo cara, non avevo dubbi, cara».
I due si avviarono verso la sontuosissima sala cobalto: era la più antica e più preziosa di tutto il lussuoso complesso alberghiero; decorata con specchi e stucchi settecenteschi sfoggiava morbidi drappi in velluto rosso damascato che ingentilivano il mobilio d’epoca e le ampie vetrate sul parco. Ovunque trionfi di forsizie, lilium e tralci interminabili di orchidee; i cristalli di Boemia rimandavano luccichii color dell’iride e l’argenteria brillava austera sui tavoli. In sottofondo, una sinfonia mozartiana fluttuava leggiadra nell’aria dando quel tocco di classe finale che ci si poteva aspettare da un ambiente simile. Persino la gente si muoveva in silenzio in quel luogo, quasi avesse soggezione.
La coppia non aveva fatto in tempo ad avvicinarsi al tavolo che subito il cameriere si approssimò per accomodare la sedia alla signora.
«Sono Gustave…» esordì l’uomo piegando un poco il busto in avanti. «E sarò il vostro cameriere personale».
«Bene, Gustave» rispose la signora con appena una traccia di sorriso. Il cameriere levitò leggiadro per poi tornare con i menu che consegnò fiducioso ai due. Mentre il marito stava ancora guardando svagato il resto della sala, la donna si mise gli occhialini d’oro assumendo un’aria di sussiego. La mano che non reggeva il menu era appoggiata con studiata delicatezza sul decolté un tempo florido e invidiato. Sembrava leggesse un raro manoscritto. All’improvviso cambiò espressione:
«Ma, ma… cos’è questa roba?» fece la donna sgranando gli occhi e cercando inutilmente quelli del marito.
«Cosa è successo, ancora, cara?» chiese quello girandosi con aria di sufficienza.
«Questa… questa è una lista di accessori per ricambi auto…» esclamò la moglie allibita. «È… è una cosa incredibile, inenarrabile, inesprimibile!». Il cameriere le si accostò per vedere meglio; lo fece eseguendo un buffo passo che sembrò di danza. Sgranò anche lui gli occhi e subito si riappropriò dei menu.
«Oh… scusatemi, scusatemi tanto» si schermì l’uomo nascondendo dietro la schiena le mani, ma troppo tardi perché non si notasse che erano sporche di grasso di macchina. «È che sono nuovo qui. Dovete avere pazienza. In verità sono il capo carrozziere dell’officina dell’hotel. Oggi ci deve essere stato un qualche disguido nell’organizzazione dell’albergo. Vedo di rimediare subito…»

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Il racconto è stato selezionato per la pubblicazione
nella collana “Eureka!”, Scrittori d’albergo, nel 2007

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