Sangue d’anguilla

Il medico si chinò sul malato disteso immobile nel letto per auscultargli il respiro. Vagava con lo stetoscopio sul petto come se stesse ricercando il cuore e non lo trovasse. Tornò eretto e, volgendo appena la testa verso la donna che gli era accanto, scosse la testa. Trascorsero alcuni secondi di imbarazzo, quindi il malato aprì gli occhi cisposi.
«Vorrei rimanere un attimo da solo da solo con lui» mormorò il malato con un filo di voce indicando un altro signore che se ne stava in disparte.
La donna fece un cenno delicato con la testa bionda e, preceduta dal medico, scivolò fuori socchiudendo la porta che non fece alcun rumore. L’uomo nel letto sembrava molto più vecchio dell’età che aveva: la malattia l’aveva devastato risucchiandogli la vita da ogni fibra.
«Sto morendo vero, Roberto?»
L’amico voleva dire qualcosa, ma non rispose, limitandosi ad abbassare gli occhi.
«Allora senti…» fece il malato. «Ho bisogno di un favore.»
«Tutto quello che vuoi, Carlo.»
«Da quanto tempo è che siamo amici?»
«Da un’eternità.»
«È vero… e in nome della nostra amicizia, un giorno tu mi chiedesti di aiutarti, di darti un lavoro quando più ne avevi bisogno. Avevi messo incinta quella tipa e volevi sposarla, ma non avevi i soldi. Anzi avevi un mucchio di debiti. Ti ricordi?»
«Sì… non ti ho mai ringraziato abbastanza. Sei stato un amico prezioso.»
«Non devi ringraziarmi… devi fare solo un’ultima cosa per me. Ho fatto testamento, tempo fa. Ti ho lasciato tre milioni di euro che ti saranno accreditati su un conto cifrato nel Liecthtestein.»
«Tre… Tre… Tre milioni di euro… ma Carlo, perché? Non posso accettare, io…»
«Aspetta…» lo interruppe sfiorandogli con un dito le labbra «non sono un regalo. Devi semplicemente uccidere mia moglie.»
«Cosa devo fare?» chiese lui facendo la faccia stupefatta.
«Sì… hai capito bene. Ho scoperto che mi tradisce. Da qualche mese.»
«Chi? Marta? Scherzi?»
«No… purtroppo è così. La mia piccola Marta, mi ha tradito».
«E con chi?»
«Non ne ho idea, purtroppo, sennò ti avrei chiesto di uccidere anche lui».
«Ma come fai ad esserne sicuro?»
«Ho letto alcuni inequivocabile sms d’amore indirizzati a lei sul suo cellulare. Marta, non si ricorda che a regalarle il telefonino sono stato io e che sono sempre stato a conoscenza del suo pin. Lo so, non dovrei essere geloso, io che ho sposato una donna così giovane.»
«Non ci posso credere» fece l’amico mettendosi i palmi aperti delle mani sulla faccia.
«Ho dato disposizione ad un notaio di disporre l’accredito appena si avrà notizia della morte di mia moglie. Questo è il mio ultimo desiderio, Roberto, spero che tu non voglia deludermi. Scegli tu il modo, non lo voglio neppure sapere. Basta che sia letale, definitivo, irreversibile. Anche se correi che non soffrisse».
Il tono di Carlo si era fatto severo, aveva finanche strabuzzato gli occhi dallo sforzo di pronunciare quelle parole.
L’amico, invece, si era fatto ancora più pallido del malato e non sapeva cosa dire, tanto la voce gli si era bloccata appena sotto l’ugola. Ritornò il giorno dopo non sapeva neppure lui perché. Probabilmente desiderava solo dissuadere l’amico dal suo proposito o convincere che si era sbagliato perché Marta non poteva avergli fatto una cosa simile e che lui non doveva agitarsi, ma pensare piuttosto solo a guarire. Ma il maggiordomo gli comunicò sulla porta che Carlo era spirato serenamente nella notte tra le braccia della moglie.
Roberto non dormì per tutta la notte, né in quelle successive. Da un lato rabbrividiva al solo pensiero di compiere quello che l’amico gli aveva chiesto in punto di morte e dall’altro si faceva cullare dall’idea di diventare ricco, di risolvere d’un tratto tutti i suoi problemi finanziari che si erano recentemente riacutizzati per quell’affare strampalato che lo aveva quasi completamente rovinato.
Trascorsero i giorni e pian piano l’idea di soddisfare il desiderio di Carlo appariva sempre più accettabile e fattibile, fino a quando non maturò il proposito di avvelenare Marta. Aveva letto una volta in un romanzo giallo che l’assassino aveva utilizzato del sangue d’anguilla un potente veleno letale per l’uomo se ingerito, una sostanza che aveva tutto il pregio di non lasciare traccia nel sangue a patto di non sapere cosa esattamente ricercare. L’assassino, in quel libro, era stato scoperto solo perché aveva confessato e non perché il veleno fosse stato scoperto.
Roberto fece così diversi tentativi: estrarre il sangue da un’anguilla non era cosa poi così tanto facile come si poteva pensare. Dopo diversi insuccessi scovò il sistema di praticare un taglio appena sotto le branchie dell’animale mettendolo a testa all’ingiù e tenendolo fermo per la coda. E siccome gli sguisciava da ogni parte, la legò per la coda ad uno spago fattole passare attraverso la coda dove aveva praticato un buco con il rompighiaccio. Ne uscì due terzi di liquido biancastro che colò nel bicchiere appositamente predisposto. Fece decantare il tutto per qualche ora, fino a quando il sangue divenne trasparente. Filtrò il liquido e vi aggiunse del limone spremuto che tolse dal sangue ogni residuo di odore di pesce.
Quella sera stessa fece la prova di mischiare una decina di gocce a del tonno che gli era rimasto nel frigo. Poi era sceso in strada e dopo un po’ riuscì a trovare un gatto cui diede la scatolina. Non aspettò. Tornò solo l’indomani e fu contento nel constatare che la bestiola era morta affogata nel suo stesso vomito. Certo, quello del vomito, poteva anche essere un inconveniente, pensò, ma con una buona ripulita, al momento opportuno, non sarebbero state lasciate tracce apprezzabili.
L’occasione di incontrare Marta capitò appena il giorno successivo in un bar del centro. Parlarono del più e del meno, come era accaduto altre volte quasi cercassero entrambi di evitare l’argomento della recente perdita. Quando fu il momento di bere, Roberto sciolse nel tè di lei il liquido che si era portato dietro in una boccettina. Il suo gesto era stato così repentino che pareva lo avesse preparato diverse volte.
Per un po’ Marta si limitò a sentire il profumo della bevanda senza berlo facendo temere di essere stato scoperto. Invece, poi, lo bevve tutto d’un fiato.
«Carlo aveva capito da tempo che eravamo amanti» fece lei all’improvviso cambiando discorso.
Roberto sentì che il cuore gli si era fermato. Poi aggiunse:
«Ma cosa dici? Perché avrebbe dovuto scoprirlo?»
«Perché me lo ha detto lui. Mi ha anche detto che a me poteva anche perdonarlo, visto che lui era più vecchio di me. Ma che tu, invece, non dovevi passarla liscia. Mi ha quindi promesso che non mi avrebbe diseredato se ti avessi ucciso.»
Roberto si sentì svenire.
«E tu? Cosa gli hai detto?»
La donna non rispose. Aveva portato una mano alla fronte imperlata di sudore.
«Non stai bene cara?»
«Scusa… ho avuto come un mancamento.»
«Dimmi, però, tu cosa gli hai detto a Carlo?»
«Che lo avrei fatto… per non inquietarlo.» La donna faceva fatica a parlare: sentiva la lingua spessa e impastata. Quindi posando il bicchiere sul tavolino proseguì: «Sapevo che aveva pochi giorni ancora da vivere e non volevo contrariarlo. Poi conoscendo mio marito, soprattutto la sua perfidia, in questi giorni che non ci siamo visti, ho assunto un investigatore privato. Così ho avuto la certezza del mio sospetto. Sapeva che non sarei venuto incontro al suo desiderio e ha assoldato un killer per ucciderti.
«Ma cosa dici cara? Stai scherzando?»
«Non ti preoccupare però. Ho già pensato a tutto. Se tu sei d’accordo gli offrirò qualunque cosa perché receda dal suo proposito. Mi sono fatto dire chi e ho il suo numero di telefono. Ora lo chiamo prendo un appuntamento con lui e…»
Un crampo allo stomaco la fece piegare in due. «Accidenti, cosa mi succede, non sto affatto bene.»
Poi la donna riprendendosi disse: «In fondo questa villa è ancora mia. Gliela regalerò. Qualsiasi cosa pur di salvarti, amore mio.»
«Puoi contattarlo? Sai il suo nome?»
Marta diede un ultimo sguardo all’amante e si accasciò da un lato. Aveva gli occhi ancora aperti.
«Cara… cara…» urlava l’uomo che gli si era fatto vicino scuotendole la testa. «Ti prego Marta, svegliati, non morire… non morire… dimmi chi è che deve uccidermi ti prego… ti prego, dimmelo.»
Ma la donna non rispondeva più. Un rivolo di vomito le fuoriusciva lento da un angolo della bocca ad imbrattare i cuscini di raso.
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Per approfondire le tematiche riguardanti la velenosità del sangue d’anguilla vedi –> Sangue di anguilla, su questo stesso Blog.
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