Nella tana di Ragno Mezzoteschio

I due ragazzi presero a camminare a passo svelto. Terminata la boscaglia, sbucarono in una zona desertica con alte dune e priva di vegetazione. «Questa parte dell’Immagine non l’avevo mai vista» confessò Tago correndo ora al piccolo trotto «non pensavo neppure esistesse: stiamo attenti, non so che pericoli ci possano essere…» La luna rischiarava le montagne di sabbia che una leggera brezza muoveva dolcemente. «Ho però come l’impressione di essere osservato» sbottò Banco voltandosi ripetutamente all’indietro. «Sei comunque sicuro che stiamo andando nella direzione giusta?» «Sì, è per di qua, non c’è dubbio» rispose l’amico dando un’occhiata al suo rivelatore. Intanto il vento si stava alzando sempre più. «Però hai ragione» confermò ad alta voce Tago «anch’io ho la sgradevole impressione di essere osservato, però non capisco, non c’è nessuno in giro… lo vedremmo in questo deserto, non credi?» «Forse ci controllano da lontano. Il problema comunque, adesso, è il vento che mi sembra stia rinforzando un po’ troppo: non vorrei ci prendesse una tempesta di sabbia» rispose il giovane biondo. Secondo le più nere previsioni il vento cominciò a sollevare turbini di sabbia tanto che i due ragazzi non capivano più dove stavano andando. «Rischiamo di girare in tondo» urlò Tago nell’orecchio dell’amico cercando di superare il frastuono dell’aria che sferzava sulle loro teste «non riesco a leggere il rivelatore e non capisco se stiamo procedendo bene oppure no». «Non possiamo restare qui!» gridò Tago. «Torniamo indietro?» chiese Banco alzando anche lui la voce. «Gia! Ma da dove siamo venuti?» La tempesta aumentò d’intensità. Banco si copriva la faccia, martoriata dalla sabbia, con lo zainetto. Così facendo, per un attimo lo sguardo gli salì verso il cielo e rimase come raggelato. «Cos’hai?!?» gli strillò Tago. Banco indicò con il dito il cielo. Migliaia di occhi stavano guardando nella notte nella loro direzione. Alcuni sbattevano le palpebre, altri erano fissi, indagatori e torvi. Tago, nonostante la sabbia gli flagellasse il viso, rimase con la bocca spalancata. Quando si riprese dallo stupore fece nell’orecchio dell’amico: «Mi è venuta una idea! Buttati a terra accovacciato tenendo la testa tra le ginocchia e fatti coprire di sabbia dal vento». Così fecero e, non appena furono divenuti a loro volta due dune, il vento smise di tirare e la tempesta di sabbia si calmò. «Stattene ancora in questa posizione» gli consigliò Tago da dentro la sua duna. «Va bene… ma di chi sono tutti quegli occhi?» «Forse sono Demoni… potrebbero aver intuito cosa vogliamo fare e probabilmente ce lo vogliono impedire con questa tormenta». «Che facciamo, usciamo? È facile che non appena usciremo da qui sotto… la tempesta di sabbia ricomincerà…» «Il mio rivelatore di Gator» farfugliò Banco, cui la sabbia doveva essergli penetrata in bocca «dice che il Numeratore dell’NPI è davanti a noi a poco meno di cinquecento metri. Se partiamo di corsa ce la possiamo fare. Tutt’al più ci nascondiamo ancora così». «Mi sembra una buona idea!» «Sei pronto? Al tre si esce. Uno, due…» «TRE!!!» urlarono entrambi correndo all’impazzata. Iniziò prima un refolo di vento, poi fu brezza e quindi un vento teso e forte. I due ragazzi furono costretti a usare per un paio di volte lo stratagemma di farsi ricoprire dalla sabbia, ma poi, alla fine, riuscirono a rifugiarsi in una caverna. «È qui dentro, il Numeratore!» gridò trionfante Tago. Una volta all’interno, la tempesta subito cessò e tornò a splendere il solito plenilunio. I ragazzi si inoltrarono nella grotta con circospezione: la luce bianca della luna mostrò ai due ragazzi un antro dall’aspetto cupo e poco tranquillizzante. Banco camminava quasi in punta di piedi come se non avesse voluto svegliare il mostro preistorico che dormiva lì da qualche parte. Ma sembrava non ci fosse nessuno. Il ragazzo, ben presto, si accorse però di sbagliarsi, perché ad un certo punto, sentì una vocina flebile: «Aiuto, vi prego, aiutatemi…» Banco si guardò attorno senza riuscire a vedere anima viva. «Aiuto, fate qualcosa… fate qualcosa…» ripeté ancora la vocina. «Tago, presto, vieni qui!» fece Banco perentorio «da dove viene questo suono secondo te?» Tago affiancò l’amico e tese l’orecchio. Anche lui sentiva quelle parole per cui si mise subito a cercarne l’origine; poi alla fine si inginocchiò: «È qui Banco, vieni!» Tago indicava un mucchio informe di stracci, sostanze maleodoranti biancastre e violacee, che si trovava in un angolo. «E cos’è?!?» chiese Banco con un moto di disgusto. «Cos’era piuttosto… era un essere vivente come me e te, ingoiato e digerito chissà quante volte dal Ragno che abita qui dentro. Ora è una massa indistinta di carne e vestiti, che non ha neppure più la forza di scappare… ma il brutto è che è ancora viva… perché non si può morire nelle Immagini». Tago si inginocchiò e chiese chi fosse. Scoprì così che si chiamava Marta: una ragazza di quindici anni caduta in quel posto tanto tempo prima. Si trovava, nella Realtà, nella toilette di una stazione ferroviaria in abbandono a giocare con altre coetanee. Si ricordava solo di aver toccato i rubinetti di un vecchio lavandino: c’era stato un lampo e si era trovata nel Paese dei Ragni Giganti. Qui era stata facile preda dei Ragni che l’avevano catturata più volte fino a ridurla in quello stato. «Portatemi via con voi…» pregò con voce debolissima Marta come se sapesse che i due ragazzi stavano architettando qualcosa. Banco le stava per dire che avrebbero fatto il possibile quando vide l’ombra lunga e minacciosa di un aracnide che stava per entrare nella caverna. I due ragazzi raggiunsero lentamente l’incavo di una roccia in fondo all’antro. «Deve trattarsi di un Ragno Verde» fece Tago sottovoce all’amico «solo loro riescono a camminare così senza fare nessun rumore. Sono quei cuscinetti porosi che hanno sotto le zampe… Questa capacità li rende micidiali, non li senti arrivare e, prima che tu te ne accorga, ti hanno sparato addosso, con la proboscide a uncino, il loro liquido paralizzante». E in effetti, di lì a poco fece il suo ingresso nell’antro proprio un Ragno Verde. Era imponente e mastodontico nonostante che la taglia di quella specie di aracnidi fosse modesta. Tago di scatto afferrò il braccio di Banco e glielo strinse fortissimo. «Ahia!» fece Banco cercando di soffocare il grido «ma che c’è? Mi fai male!» «È Mezzoteschio!» «Chi?!?» «È il Ragno alfa, il Ragno dominante, una sorta di guida per tutti i Ragni di questa Immagine. Io l’ho soprannominato Mezzoteschio perché sul collo, appena sotto la lancia ad uncino, ha una parte bianca nel pelo verde che ricorda un mezzo teschio. Lo so perché l’ho visto molto da vicino. È stato lui, il primo ad ingoiarmi. È ferocissimo, furbo e particolarmente cattivo. Non potevamo capitare in una tana peggiore». «Adesso sì che mi sento molto meglio» sussurrò Banco ironizzando. Appena dentro alla tana, Mezzoteschio si fermò sospettoso: annusò l’aria. Evidentemente aveva sentito un odore che prima non c’era. Girò tutt’attorno le pareti di fondo della caverna come per ispezionarle. Poi si fermò davanti ai pochi resti di Marta, la annusò e con uno scatto ferino la ingoiò voracemente. I due ragazzi riuscirono a stento a non urlare restando inorriditi; anche perché il Ragno, contrariamente a quello che normalmente accadeva, non aveva risputato quanto inghiottito. Forse ciò che era rimasto della povera Marta era così poco, questa volta, che sarebbe rimasta per sempre, da viva, a mollo negli acidi del suo stomaco. Tago si mise a piangere. Era la prima volta che Banco lo vedeva in quello stato. Chissà, forse pensava alla propria sorte e al dolore che si provava a nuotare nei succhi gastrici di un Ragno. Alcuni singhiozzi ebbero l’effetto di incuriosire Mezzoteschio che subito alzò la testa e si avvicinò alla fonte del rumore. I due giovani si schiacciarono contro la fessura profonda dove avevano trovato riparo. Il Ragno si avvicinò loro. Annusò l’aria circostante senza però riuscire ad individuarli. Forse la tempesta di prima e la molta sabbia che avevano ancora addosso avevano attutito il loro odore di esseri umani. Mezzoteschio, comunque, dopo esser rimasto fermo davanti alla frattura nella roccia, pur non vedendoli, roteò la sua proboscide a lancia inserendola in profondità. Passò a pochi millimetri dall’orecchio di Tago che oramai si sentiva spacciato. Il ragazzo riusciva a sentire l’odore fetido di quella bestiaccia. Ma l’aracnide, deluso di non aver trovato nessuna preda succulenta da divorare, si allontanò e lentamente, caracollando come una nave in tempesta, si posizionò sulla ampia tela costruita a mo’ di giaciglio non lontana dall’entrata della caverna. «Dov’è il numeratore di NPI?» fece Banco con un fil di voce, stretto ancora a Tago per occupare nella fessura il minor spazio possibile. Tago consultò il suo rilevatore dopo aver digitato alcuni pulsanti ed esclamò: «Non capisco! Dovrebbe trovarsi proprio lì, davanti da noi!» «Lì però c’è solo un masso!» obiettò l’amico. «Allora ho paura che sia proprio sotto il masso!» fece Tago grattandosi la testa. «Non c’è altra spiegazione…» «E come facciamo a metterci a scavare con quel po’ po’ di Ragno a pochi metri da noi?» ‘È una bella domanda’, pensò Tago. E non c’era apparente risposta. «E dire che basterebbe solo far ruotare di poco il macigno e il Numeratore sarebbe libero dal terreno. Quel tanto che basta per manipolarlo» insistette Banco. I ragazzi parlavano sottovoce, mentre il Ragno era immobile a qualche metro da terra: forse dormiva. Come era accaduto altre volte i due giovani si misero a pensare sul da farsi. Poi Tago osservò: «Ho visto che nella caverna ci sono molte fibrose…» «Molte cosa?» «Fibrose, piante che hanno un arbusto strisciante, molto lungo e resistente. Potremmo intrecciarne qualcuna, farne una corda sufficientemente lunga, legarla al blocco di roccia da una parte e al corpo del Ragno dall’altra. Costringendo in qualche maniera Mezzoteschio a uscire dalla caverna svilupperebbe forza sufficiente per spostare il nostro masso». «Mi sembra un piano pazzesco, Tago» fece Banco sorridendo «che però potrebbe anche funzionare». I ragazzi, di buona lena, si misero allora in silenzio a tagliare le fibrose separandole dalle radici e dalle foglie. Sezionandole per il senso del fusto, la resina che ne fuoriusciva, al contatto con l’aria, rassodava le funi compattandole e facendole diventare elastiche e robuste. Poi, sempre senza fare il minimo rumore, passarono la fune attorno al macigno che nascondeva il Numeratore. «Ora non resta che piazzare l’altra estremità attorno al collo di Mezzoteschio» bofonchiò quasi tra sé e sé Tago con naturalezza, come se avesse detto ‘beh, ora mi stendo un po’ a prendere il sole’… «Ok, vado io» fece l’altro. «Ma scherzi! è troppo pericoloso!» lo rimproverò Tago. «Lo so, ma sei tu quello che sa far funzionare il Numeratore. Facciamo così: io dopo aver lanciato la fune attorno al capo di Mezzoteschio lo faccio muovere fuori dalla caverna, cosa che dovrebbe far spostare il masso. Poi rientro di corsa. Tu nel frattempo predisponi il Numeratore, come sai fare, e così, quando arrivo, lo fai scattare e addio per sempre Paese dei Ragni». «Sì, forse hai ragione» assentì Tago. «Ma non mi va che ti prendi la parte più ‘divertente’…» disse con un filo di ironia. «Invidioso eh?!?» fece Banco con entusiasmo. Prima che l’amico replicasse, il giovane biondo aveva già preso l’altro capo della fune e si stava avvicinando lentamente al Ragno. Le gambe erano diventate molli per la tensione e la testa gli girava come una trottola. Aveva una fifa folle. ‘E se Mezzoteschio stesse facendo finta di dormire e aspettando altro che mi avvicini per aggredirmi?’ pensò il ragazzo sempre più nervoso. Decise ugualmente di arrampicarsi sulla parete interna della caverna. Questo gli avrebbe permesso di arrivare proprio sopra al Ragno e di lanciargli l’estremità della fune su cui aveva predisposto un cappio con un nodo scorsoio. Si mise la corda in bocca: aveva un gusto amarissimo che gli provocò subito un eccesso di salivazione. Era però indispensabile che avesse entrambe le mani libere per potersi aggrappare meglio alla parete. Salì con cautela anche perché la penombra non gli faceva vedere bene dove metteva i piedi. A circa tre metri di altezza aveva ormai gran parte del Ragno accovacciato sotto di lui, in un’ottima posizione, per quello che aveva intenzione di fare: la bestiaccia era lì, come se fosse pronta a ricevere il laccio. Banco fece il gesto del pollice alto all’amico che vedeva dietro al blocco di roccia pronto a buttarsi sul Numeratore e prepararlo per il cambio di cifra che nel frattempo era riuscito a ricavare sia di quella della SuperImmagine che di quella dell’Oceano sovrapposto. Ci teneva a comunicargli che tutto stava andando per il verso giusto. Poi Banco, rimanendo attaccato alla parete con la mano sinistra, si tolse la corda che aveva in bocca e usando la destra la fece calare lentamente. La fune era a pochi centimetri dal collo di Mezzoteschio quando delle gocce di saliva gli scapparono dalle labbra andando a colpire la testa del Ragno. La bestia aprì gli occhi. Erano inespressivi, maligni, profondi. In quella frazione di secondo Banco ebbe la certezza che quella era una creatura demoniaca. L’aracnide, come una fionda, scattò verso il ragazzo per afferrarlo con la proboscide, ma proprio in quell’istante la mano sinistra con cui Banco si era assicurato alla roccia cedette facendolo rovinare a terra e perdere il lazo. Il ragazzo fece alcune capriole sul fondo della caverna, ma non perse tempo a rialzarsi. Scappò verso l’uscita a carponi perché ormai la strada per tornare da Tago era bloccata dal corpo del Ragno che si era lasciato cadere dalla ragnatela. Immediatamente, appena il giovane fu fuori, migliaia di occhi si aprirono a osservarlo intensamente. Ma non ci fu tempo per chiedersi che cosa avrebbero fatto questa volta quei Demoni che lo spiavano dall’alto: il Ragno Verde cominciò ad inseguire Banco come una furia e, così facendo, mise due delle zampe posteriori proprio all’interno del cappio che tendendosi si serrò. L’aracnide perse l’equilibrio e cadde con la testa in avanti sulla sabbia del deserto. Nello scivolare trascinò il masso che nascondeva il Numeratore, facendolo rotolare. Tago, che fino a quel momento aveva assistito a tutta la scena con apprensione senza poter intervenire, si buttò sul Numeratore cominciando a predisporlo per il cambio di cifra. Banco approfittò dello stordimento di Mezzoteschio per rientrare di corsa nell’antro e in poche falcate fu vicino all’amico. «Ti sei fatto male?» gli chiese Tago senza distogliere gli occhi dalla tastiera del Numeratore: occorreva riprogrammare il più velocemente possibile l’Immagine perché prendesse, al momento giusto, il numero necessario per realizzare la sovrapposizione. «No, credo di essere tutto intero: però fai presto, non sono sicuro che Mezzoteschio sia del tutto fuori causa». «Quando te lo dirò» disse Tago cui tremava la voce per la concitazione «tieniti forte a queste due maniglie che vedi qui infisse sulla scocca del Numeratore che è anche un potentissimo Gator. La sovrapposizione può risultare violenta e se non ti terrai ben saldo a questi manici, cosa che farò anch’io, verrai cancellato con l’immagine sovrapposta. Se fai come dico io invece verremo entrambi trasportati incolumi a destinazione». «Ma come fai a sapere che sarà l’Oceano a sovrapporsi al Paese dei Ragni e non viceversa?» «Perché ho abbassato appositamente questa levetta qui e inserito in quest’altro il display il numero identificativo dell’Immagine dell’Oceano sovrapposto» disse sorridente Tago «per cui a cancellarsi sarà l’Immagine dove ci troviamo ora. Non ti preoccupare, è tutto sotto controllo, so quel che faccio». «Bene… tutto è pronto allora…» «Sì, premendo questo pulsante il Numeratore entrerà in azione e tutto andrà a posto. Sei pronto?» fece gongolante Tago. «Sì, pronto come non lo sono stato mai!» Banco ebbe negli occhi, come un’ultima fotografia, l’immagine di Tago che premeva il pulsante rosso davanti a lui e, in quello stesso preciso istante, anche le ganasce taglienti di Mezzoteschio che si avventavano sul suo amico risucchiandolo in un colpo solo tra le fauci aperte a dismisura. Poi un glang assordante oscurò ogni cosa e quando si riaccese la luce, Tago era sparito.

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