Dov’è Pellediluna?

sigaroAppena i genitori si accorsero che Banco aveva fatto rientro a casa cominciarono i rimproveri. Nonostante il ragazzo si sforzasse di essere puntuale, c’era sempre qualcosa che lo portava ad accumulare ritardo. Prima cominciò la madre facendogli notare che la pasta al sugo era nel piatto già da un bel po’, scotta e fredda. Poi proseguì il padre con le sue sottili distinzioni tra casa, albergo con o senza mezza pensione; infine ci si mise anche sua sorella gemella Tessa che, nascondendosi dietro alle sue indisponenti lentiggini chiare, si mise a ridacchiare di piacere, contenta che quel giorno toccasse a lui prendersi le sgridate. Mentre si lavava le mani, Banco stava riflettendo che il padre si era mostrato più alterato del solito; secondo i suoi calcoli sarebbe dovuta arrivata, da lì a pochi secondi, una bella punizione con i contro fiocchi. E infatti, il genitore, raggiuntolo sulla soglia del bagno, se ne stava con il dito indice alzato come se fosse un martello, pronto a sentenziare la condanna seduta stante quando una scossa di terremoto alzò letteralmente la casa. In un batter d’occhio tutta la famiglia Bainèro si trovò nel giardino a guardarsi attorno, spaesata. Pian piano anche i vicini fecero altrettanto. Nonostante la scossa fosse stata davvero forte, la villetta non sembrava aver subito danni, né si notavano crepe.
«Salvato da un terremoto, vero?» gli sibilò Tessa avvicinandosi al fratello in giardino «sei sempre il solito fortunato… se facessi io la metà delle cose che combini tu, mi chiuderebbero in cantina, con un grosso collare al collo e un guinzaglio di una tonnellata di catene». I capelli rossi della sorella sembravano incendiarsi sotto la luce implacabile di quella giornata. Banco sorrise in modo diplomatico. Non aveva voglia di rispondere a quelle battute acide. «E si può sapere, poi, che fine hai fatto all’uscita dalla scuola?» gli chiese ancora la sorella con aria indagatrice «ti ho aspettato, per un bel po’». Frequentavano lo stesso liceo, i gemelli, anche se in classi differenti.
«Ho letto sul giornale che nell’ultima settimana è stata registrata un’ondata di fenomeni sismici un po’ in tutte le parti del mondo» disse il padre facendo ballare i baffi per l’apprensione. «Ma che starà succedendo?» gli fece da sponda seria la moglie Greta. Nel frattempo era arrivato nel giardino Arturo Palombi, il vicino assicuratore che, con un faccione gioviale da plenilunio estivo, non perse la ghiotta occasione di avere a sua disposizione papà Bainèro:
«Certo, Carlo, una buona polizza contro le calamità naturali ti metterebbe al sicuro da qualsivoglia preoccupazione…» e così dicendo si era messo a tossire e a tirare un respiro così strascicato che sembrava un asmatico.
«Io invece se fossi in te, invece di pensare sempre al lavoro, mi curerei quella bruttissima tosse» ribatté infastidito Carlo, non sopportando quell’insistenza quasi quotidiana di volergli infliggere una polizza assicurativa, di qualunque genere fosse. «Hai ragione, sono due o tre giorni che non mi sento bene…» si rabbuiò quello abbassando remissivamente gli occhi «mi gira la testa e faccio fatica a respirare».
«Io piuttosto ho come una bolla d’aria nello stomaco» fece Carlo Bainèro, solidale con quel discorso, massaggiandosi la pancia. «Mi sembra di aver ingoiato una mongolfiera. E non mi passa in nessun modo». A Banco, che stava ascoltando, venne un sussulto: erano gli stessi sintomi che accusava l’amico Canio. ‘Curioso’, si disse, ‘che sia un virus che sta girando? Se me lo prendessi anch’io potrei starmene a casa da scuola per qualche giorno’. Non era però granché contento a quel pensiero.
«È stata proprio una brutta scossa» ribadì il vicino a Carlo, volendo parlar d’altro. «Sì, violenta. E che dire di questo caldo e di questa siccità? Non si era mai vista una primavera così secca e con temperature così elevate».
«È il risultato di tutta quella porcheria che le grandi industrie sparano nell’atmosfera fregandosene delle leggi e delle convenzioni internazionali…» inveì Arturo, guardando all’insù il cielo terso e luminoso per poi abbassare subito gli occhi disturbato da quell’eccessivo chiarore «stiamo diventando un paese subtropicale e…» Carlo fece cenno alla moglie di rientrare in casa. Non aveva alcuna voglia di sentire le solite filippiche qualunquistiche di quel tipo che lui chiamava, per nulla affettuosamente, il suo rompivicino. Rientrati, mentre Banco si era messo a pranzare da solo, in silenzio – come punizione – i genitori avevano acceso la televisione. Il telegiornale dava la notizia del terremoto che, altrove, aveva anche fatto però danni e vittime. Si erano registrati fenomeni sismici di debole e media intensità anche in altre parti del mondo e quasi alla stessa ora, anche se gli esperti non avevano messo gli eventi in correlazione tra loro, anzi lo avevano proprio escluso; in ogni caso i sismologi erano unanimi nel sostenere che le cause erano molteplici e che il caldo torrido non c’entrava per niente. Anche la siccità stava dando seri problemi, spiegava il servizio, sia alle colture che al funzionamento delle centrali elettriche: non era da escludersi infatti che ci sarebbero potuti essere nei giorni seguenti anche blackout reiterati di energia elettrica. Inoltre il livello dei fiumi era calato di parecchi metri, tanto che alcuni di essi avevano il letto completamente asciutto. Se non ci fossero state delle precipitazioni atmosferiche nel volgere di poche settimane, si sarebbe passati al razionamento dell’acqua. Banco finì i tagliolini in poche forchettate. Erano effettivamente freddi e sembravano impastati con il vinavil: ma aveva fame. Prese una mela, le diede un morso e se la portò in camera; mentre saliva le scale non poteva neppure immaginare che stava andando incontro ad un misterioso destino e che, di lì a poco, una serie di mirabolanti avventure avrebbero trasformato per sempre la sua vita. ‘Certo che stanno succedendo delle cose davvero strane, e tutte insieme, poi…’ rifletté entrando in camera, ‘questo virus in circolazione, i terremoti, il caldo, la siccità e quello strano omicidio al curvone di Badiassi. Per non parlare di quei due tipacci che volevano la mia sveglia.’
Come al solito Banco, dopo essersi buttato sul letto, aveva intrecciato le dita sulla nuca, con lo sguardo rivolto alla macchia di umido del soffitto che gli ricordava tanto il profilo di Mozart visto sulla copertina di un CD comprato tempo addietro. Era la sua posizione preferita che solitamente adottava per potersi rilassare. La penombra della camera, con gli scuri chiusi per difendersi dal riverbero intollerabile del primo pomeriggio, invitava alla riflessione se non ad appisolarsi. Era da un po’ che si trovava in quella posizione quando sentì distintamente russare. Per un attimo pensò di essersi addormentato o di avere il respiro rumoroso, ma presto si accorse che il suono proveniva dal suo zaino. Si alzò con circospezione, a piedi nudi, per non far rumore. Aperto lo zainetto, rovistò tra le sue cose: l’unico oggetto che poteva essere responsabile di un simile rumore era la sveglia. La prese, la portò alla luce della finestra. Sì, era proprio quella cosa lì che stava russando. Banco non credeva ai suoi occhi. Cominciò a scuotere la sveglia credendo che quel suono altro non fosse che la suoneria. Mosse in su e in giù alcune levette, schiacciò pulsanti… E sul quadrante superiore, si aprirono due porticine parallele da cui fuoriuscirono due occhioni chiari che ricordavano molto il gioco del vecchio Furby. Banco emise un urlo, la sveglia pure.
«Ma tu sei… sei viva!» fece Banco, che aveva istintivamente lanciato la sveglia lontano da sé sul letto.
«Viva?» fece la sveglia indispettita ruzzolando tra le coperte «che stupidaggine è mai questa…? Io non sono vivo, io funziono». «Una sveglia parlante?» insistette incredulo Banco.
«Moderiamo le parole, giovanotto, io sono un Gator, un assistente navigatore di primo livello matricola 4762999 AWK». «Assistente navigatore? E che roba è?»
«Mai sentito parlare di assistenti navigatori? Dove sei vissuto finora su un palo della luce? Ma che ti chiedo? È chiaro che non ne hai mai sentito parlare…» rispose la sveglia seccata.
«Sarai anche un navigatore come dici tu, certo però che russi che sembri una motosega».
«Ma cosa dici! Non russo affatto… è il suono che emetto quando scarico via wireless il software di aggiornamento. Ma ho capito che devi essere un pivellino… Piuttosto, dov’è Pellediluna?»
«Pellediche?»
«Ma allora non sai assolutamente nulla! Pellediluna, il mio operatore CIA di riferimento. Ho capito, ho capito, sto perdendo il mio tempo… Beh! In attesa di diverse e più dettagliate istruzioni mi disattiverò per non sprecare le batterie… arrivederci». «Aspetta Gator, aspetta» pregò il ragazzo avvicinandosi alla sveglia e prendendola tra le mani «vuoi dire che sei capace di farmi navigare in Internet senza computer, magari gratis?»
«Ma che Internet e Internet, quella robaccia antiquata! Non hai capito niente» apostrofò sgarbato Gator. Nel frattempo Banco aveva cominciato a toccare anche i pulsanti che il navigatore aveva sui lati. «Non mi toccare!» fece Gator con voce stridula «non schiacciare i pulsanti a vanvera se non sai quel che stai facendo… e poi smettila che mi fai un solletico dell’accidenti!» Ma ormai
l’attenzione di Banco era stata attratta da un pulsante verde su cui era impresso il simbolo di una O attraversata da due frecce oblique. Lo premette senza pensarci due volte.
«Noooooooo!» gridò il Gator.
In quello stesso istante un fascio di luce blu partì dal Gator colpendo il soffitto, rimbalzando sulla parete di fronte per poi atterrare ai piedi del letto. Subito si materializzò una figura: era una donna corpulenta di una certa età, alta, con i capelli raccolti in una crocchia e due occhialini tondi senza stanghette, in bilico sul naso. Alle sue spalle del fumo saliva lento in volute come se gli andasse a fuoco il fondoschiena. Ma non era lei a fumare: da dietro la sua figura sbucò un signore molto più basso, pressoché pelato e con un grosso sigaro sbuffante tra le labbra.
«Che posto è mai questo, Franz?» fece la donna con tono distaccato.
«Non ne ho la più pallida idea, Nora».
«Non è il solito luogo in cui ci fanno il rapporto, Franz».
«No, non lo è, Nora. Caspitaperdincibacco se non lo è».
«E poi dov’è Pellediluna? Con questo buio non vedo un bel niente».
«Ma perché mi chiedete tutti di Pellediluna? Chi è ‘sta tizia di cui domandate in continuazione?» fece Banco un po’ scocciato.
«Chi ha parlato?» squittì Nora facendo un passo indietro.
«Cara, mi sembra di distinguere un ragazzo lì davanti a noi, ora che mi sto abituando al buio: oserei dire un ragazzo sopra a un letto! Incredibile, imprevedibile, persino impensabile».
«Sì, salve!» se ne uscì Banco schiarendosi la voce e tentando un sorriso di circostanza «sono Banco Bainèro e questa è la mia camera da letto!»
«Ma che scherzo è mai questo?» sbraitò Franz soffiando ripetutamente attorno a sé il fumo denso del sigaro che quasi lo nascose.
«Ah… io non c’entro niente» sbottò Gator «è tutta colpa di questo ragazzino impertinente che non tiene le mani a posto».
«Ehi… ma questa voce la conosco» fece Nora con una traccia di sorriso sulle labbra «è quella di 4762999 AWK, il Gator di Pellediluna!»
«‘Sempre servire per sempre funzionare’» esclamò il Gator con tono privo di espressione, come se quella fosse stata la risposta standard da fornire in una simile situazione.
«E la tua operatrice, Gator? Che fine ha fatto?» «Sparita, o Gran Rettori».
«Non l’avrai fatta mica sparire tu, vero?» fece Franz avvicinandosi al fondo del letto di Banco ed entrando in un cono di luce che mise in risalto dei tratti burberi. Banco si raggomitolò all’indietro schiacciandosi contro la testiera.
Ma poi Banco rispose: «La vostra Pellediluna è stata assassinata a poco distanza da qui. Ma certamente non da me. Ho visto io la sua macchina finita fuori strada con un foro di proiettile nella portiera: le hanno sparato!»
«Caspitaperdincibacco!» fece Franz tappandosi subito dopo la bocca con il sigaro. Preoccupato si mise pure a dondolare sulle punte dei piedi tenendo entrambe le mani dietro la schiena. «Un brutto affare, un rovinoso affare, un pessimo affare. Non è vero, Nora?»
«Sparato?» fece ancora eco la donna strabuzzando gli occhi. Nel sentire quella improvvisa nefasta notizia, al Gator s’illuminò una lampadina rossa ad intermittenza posta tra le due suonerie, e subito dopo emise un suono come di un segnale di cattivo funzionamento.
«Già, mi spiace…» continuò Banco «e il Gator l’ho trovato lì, a poca distanza dalla macchina di Pellediluna! Pensavo fosse una sveglia per bambini e l’ho raccolta».
«Inconcepibile, inimmaginabile, inammissibile! Non avresti dovuto prenderlo, giovanotto, non ti appartiene e tanto meno dovevi accenderlo, ora sai troppe cose e questo non va affatto bene» lo redarguì Franz agitandogli davanti il sigaro come se volesse infilzarlo. Poi l’uomo si girò verso la donna e quasi cinguettò: «Non abbiamo alternative, mogliettina cara, dobbiamo farlo eliminare, sempre se sei d’accordo».
«Sì, eliminiamolo, eliminiamolo» fece Gator saltellando sulle lenzuola «mi sta pure antipatico!» In quell’istante qualcuno bussò alla porta. Con un gesto fulmineo Banco prese il Gator e lo infilò sotto il cuscino ammonendo serio: «Adesso tu stai buono lì sotto e fai silenzio!» Poi, rivolto alla porta e simulando un tono di voce credibile, disse:
«Sììììì?»
«Sono io, tesoro…» E la madre entrò in camera.
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